Nel Palazzo impazzito

by Sergio Segio | 11 Luglio 2013 8:02

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UNO spettacolo in tre atti che non ha come protagonisti i berluscones para-aventiniani ma i furbissimi grillini, che hanno approfittato al volo della sfacciata sfida del Pdl e dell’impacciata reazione del Pd per dimostrare a favore di telecamera che il Parlamento ormai è diventato, come dice soavemente l’ex capogruppo Roberta Lombardi, «un posto fetido».
Atto primo: aula di Palazzo Madama, ore 13,15. Il Senato sta discutendo la richiesta di Schifani di sospendere i lavori per mezza giornata. Il Pd ha detto di sì, spiegando che il Parlamento non si ferma, è solo una pausa per la riunione dei gruppi berlusconiani. Ma per i Cinquestelle questo è un passaggio a rete, e infatti si fiondano tutti nell’area avversaria. Il capogruppo Morra ha già dato il primo calcio: «Si bloccano i lavori d’aula per le note vicende giudiziarie di un noto senatore latitante da quest’aula, ad oggi 99,72 per cento di assenze…». Ma è l’ex capogruppo Vito Crimi che tira in porta, quando in aula arriva il suo turno: «Avete messo le Camere alla berlina, e noi ci togliamo giacca e cravatta per dimostrare che questo Parlamento non è più quello per cui stiamo stati eletti». Naturalmente lo fa davvero: via la giacca chiara, via la cravatta blu, lui e tutti i Cinquestelle restano in maniche di camicia, che se lo fa Renzi alla Leopolda è una trovata, ma tra le austere mura di Palazzo Madama — dove la cravatta è imposta dal regolamento — è l’equivalente di una bestemmia in chiesa. Grasso, fin troppo pacatamente, li invita a rimettersi giacca e cravatta, ma loro rispondono picche: usciamo, ce le metteremo fuori.
Il capogruppo pd Zanda ci va giù pesante: «Un’azione di disprezzo volgare del Parlamento, solo per farsi fare una fotografia ». Ma in tv ci finiscono loro.
Atto secondo: aula di Montecitorio, ore 13,40. La scena è la stessa, cambiano i protagonisti. A Ettore Rosato (Pd) tocca l’ingrato compito di «acconsentire alla richiesta del capogruppo Brunetta». Insorgono il vendoliano Migliore («No a una sorta di lutto nazionale, solo per andare a dire fuori di qui che il Parlamento si è piegato a Berlusconi») e il grillino Bonafede («Questo è un colpo di stato a norma di legge»). Ma è al momento del voto che scatta la mossa dei Cinquestelle. Hanno visto che sul tabellone elettronico si sono accese una ventina di lucette bianche, nella zona del Pd, segno che lì qualcuno dissente, e quando vedono Alberto Losacco che cerca di far cambiare idea a chi si sta astenendo scendono tutti insieme al centro dell’aula, con la compattezza di uno sciame d’api, e vanno davanti ai banchi del Pd. «Servi!», gridano. «Lasciateli liberi!». E poi: «Schiavi! », «Pecoroni!», «Buffoni». Sembra quasi un assalto, l’intenzione non sembra proprio pacifica e un deputato Pd, Piero Martino, reagisce strattonando un grillino per la giacca e lanciando contro i Cinquestelle i fogli che aveva sul banco. I commessi, per fortuna, fanno muro per separare i due gruppi. La Boldrini chiede l’intervento dei questori e sospende in fretta la seduta. Martino esce in Transatlantico sconvolto: «Non avevo mai visto un intero gruppo scendere compatto a minacciare gli avversari. Gli ho detto smettetela, poi gli ho tirato i fogli. Ma la Boldrini ha sbagliato ad andarsene, i responsabili andavano individuati». E invece sotto accusa finisce proprio lui, Martino, messo alla gogna mediatica di Facebook dal vicepresidente grillino di Montecitorio, Luigi Di Maio, con un filmato girato con il telefonino e corredato da una scheda sul deputato del Pd.
Atto terzo: piazza Montecitorio, ore 14,10. Usciti dall’aula, i grillini attraversano a passo di carica i corridoi. Dove vanno? Vanno fuori. «Via da questo posto fetido» ordina la Lombardi. «Sì, fermiamo la gente fuori e gli spieghiamo che minchia sta succedendo» chiosa sicilianamente la piemontese Laura Castelli. E tutti la seguono, verso quella piazza Montecitorio che oggi è off-limits per tutti. Ma non per loro, che quando si avvicinano i poliziotti rispondono spavaldamente: «Siamo deputati, qui possiamo stare». E così va in scena il primo sit-in fuori dalla Camera che vede protagonisti una sessantina di quelli che dovrebbero stare lì dentro: i parlamentari. Carabinieri e poliziotti non sanno cosa fare, si limitano a chiudere la piazza. Loro intanto si tolgono le giacche e comiziano davanti alle telecamere. Per spiegare al popolo che «in Italia ormai c’è una dittatura», che «questo Parlamento è una scatola di tonno vuota», che «i giornali censurano le vere notizie». Nulla di nuovo sotto il sole, che però picchia davvero: 31 gradi all’ombra. E così lo show finisce in fretta, con una ritirata silenziosa verso un Parlamento che sarà pure “fetido” ma almeno ha l’aria condizionata.

 

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