L’INVASIONE AMERICANA DEGLI PSICOFARMACI

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Un’epidemia sta infettando la società americana, ma non si tratta delle malattie tradizionali, riguarda invece la diffusione dei disturbi mentali e di conseguenza l’uso degli psicofarmaci. Questa è la tesi provocatoria, ampiamente documentata nel libro
Indagine su un’epidemia (Giovanni Fioriti Editore, pagg. 368, euro 26) di Robert Whitaker, un giornalista noto negli Stati Uniti per le sue inchieste nel campo della medicina e della scienza. I dati riportati sono allarmanti: un’ampia indagine effettuata negli Usa fra il 2001 e il 2003 dal National Institute of Mental Health ha messo in luce che il 46% degli adulti selezionati casualmente manifesta un disturbo psichico nelle categorie dei disturbi di ansia, disturbi dell’umore, disturbi del controllo degli impulsi ed infine disturbi da dipendenza da sostanze, che comprendono l’uso di droghe e alcolismo.
Una domanda è inevitabile, che cosa sta succedendo negli Usa? Stanno aumentando in modo esponenziale i disturbi psichici che secondo la psichiatria americana avrebbero una base neurobiologica? Oppure gli psichiatri hanno imparato a diagnosticare i disturbi psichici che in passato non venivano riconosciuti? O più plausibilmente le maglie diagnostiche si sono talmente allargate da trasformare un malessere personale in un disturbo psichico? Quest’ultima ipotesi è confermata da Whitaker che ricostruisce il percorso della rivoluzione degli psicofarmaci dal 1950 ad oggi entrati nella vita quotidiana: pillole per dormire, pillole contro la depressione, pillole contro gli stati d’ansia. Solo negli Usa nel 2007 sono stati spesi 25 miliardi di dollari per gli antidepressivi e gli antipsicotici. Ma la diffusione degli psicofarmaci ha profondamente modificato la concezione sociale della sofferenza psichica: non si tratterebbe di conflitti che hanno un’origine inconscia secondo la teoria freudiana e neppure di stress e avversità della vita, più semplicemente sarebbe una malattia psichiatrica legata ad una disfunzione dei neurotrasmettitori cerebrali. La trasformazione della sofferenza mentale in malattia medica è avvenuta in questi decenni fondamentalmente attraverso l’iniziativa dell’American Psychiatric Association di costruire un sistema diagnostico condiviso, il DSM, di cui è stata pubblicata recentemente la quinta edizione. E mentre le precedenti versioni erano rivolte ai professionisti della psiche, quest’ultima versione è stata pubblicizzata dalla stampa, anche perché ha suscitato forti critiche ed opposizioni da parte di associazioni di professionisti e ricercatori che hanno messo in luce la fragilità di molte categorie diagnostiche e il pericolo di dilatare l’etichettamento psichiatrico. Ma gli psicofarmaci sono efficaci come viene sostenuto dalle case farmaceutiche? La documentazione di Whitaker mostra come i tranquillanti possano fornire un sollievo immediato per alcuni sintomi, ma che il loro effetto si riduce col tempo fino a comportare una sindrome di astinenza quando vengano interrotti. Ancora
più problematico èl’uso degli antidepressivi che sarebbero di poco più efficaci del placebo, come verrebbe confermato da una ricerca inglese. Alla stessa conclusione è giunta anche la rivista British Journal of Psychiatry che ha riconosciuto che le prove scientifiche a supporto di questi farmaci sono “limitate”.
Ma Whitaker solleva una domanda ancora più radicale: gli psicofarmaci non creano forse più problemi di quanti ne risolvano? Clinici e ricercatori hanno più volte segnalato una maggiore propensione alle ricadute dopo l’interruzione di un trattamento prolungato con gli psicofarmaci per cui ricercatori europei ed italiani si sono chiesti se non sia utile discutere di questo rischio e verificare se gli psicofarmaci aggravino il decorso clinico che invece dovrebbero curare. Non è neppure da sottovalutare il pericolo dell’etichettamento psichiatrico già messo in luce negli anni ’60 dalla sociologia americana e che è stato al centro del dibattito e della rivoluzione psichiatrica in Italia soprattutto per il contributo di Franco Basaglia. È ancora oggi un tema attuale se il 46% della popolazione americana soffre di disturbi psichici, anche se si potrebbe supporre che lo stigma psichiatrico perda la sua rilevanza essendo così diffuso nella popolazione e allo stesso tempo la supposta origine cerebrale potrebbe decolpevolizzare il malato e la sua famiglia. Se una diagnosi medica è fonte di apprensioni per ogni malato, la diagnosi psichiatrica influenza ancora più profondamente la percezione di sé e può scoraggiare le proprie difese personali per fronteggiare la sofferenza e non spinge a modificare il proprio stile di vita, anche perché si può ricorrere agli psicofarmaci per risolvere ogni problema.
Se in questi ultimi decenni sono state effettuate numerosissime ricerche cliniche finanziate dalle case farmaceutiche per confermare l’efficacia degli psicofarmaci rispetto al placebo, purtroppo in campo psicoanalitico non si è ancora avvertita l’esigenza di documentare in modo incisivo l’utilità dei trattamenti analitici che non si limitano ad attenuare i sintomi come gli psicofarmaci, ma favoriscono un processo di trasformazione della propria esperienza interiore, ampliando le risorse personali e le capacità introspettive.
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IL LIBRO
Indagine su un’epidemia di Robert Whitaker (Giovanni Fioriti Editore pagg. 368 euro 26)


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