Letta respira: chiusa la finestra elettorale

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ROMA — Ora che Napolitano ha alzato a protezione delle larghe intese un robusto muro di contenimento Enrico Letta può chiudere, almeno sul piano politico, il caso Kazakistan, spazzar via «ogni strumentalizzazione» e rimettersi in cammino sul sentiero stretto delle riforme. E la battuta con cui ieri durante il vertice di maggioranza ha strappato una risata di sollievo a ministri e capigruppo, dice con quanta gratitudine il capo del governo abbia accolto il monito del presidente della Repubblica. A Palazzo Chigi sono le 9 del mattino, il padrone di casa arriva accaldato in maniche di camicia e, per paura di prendersi un raffreddore a causa dell’aria condizionata, si alza ad aprire i vetri. Ma da piazza Colonna arriva il rumore di un martello pneumatico che rende impossibile il confronto. «Presidente, è l’Italia che lavora!», scherza Pino Pisicchio. Ma di nuovo il premier si alza e, anche lui ridendo, serra le imposte: «Ho chiuso la finestra elettorale…». È una battuta, ma rivela come in quel momento Letta già conosca il senso delle parole che, come pietre, Napolitano scaglierà alle 12 sulla classe politica. Tanto che si fa serio e prevede che dopo l’estate «non si andrà a votare».

È questo lo stato d’animo di Letta dopo giorni di tempesta sulle larghe intese. Stamattina parlerà al Senato e a Palazzo Chigi sottolineano che per la prima volta un capo del governo interviene per scongiurare la sfiducia ad personam di un ministro. Il «ragionamento di ampio respiro» che ha in mente, non più di mezz’ora, seguirà le due «bussole» che sono per lui la relazione del prefetto Alessandro Pansa e l’energica strigliata del Quirinale alle forze politiche. Ma il passaggio più politico sarà quello finale, sull’azione del governo. Un nuovo discorso programmatico per dire, sia pure per titoli, le cose fatte e quelle ancora da fare, nel tentativo di convincere i partiti, gli italiani e gli investitori internazionali che il premier rispetterà la road map del discorso di insediamento.

Adesso che la stabilità sembra non essere più a rischio, Letta — al quale non sfugge come la mozione di sfiducia su Alfano abbia assunto i contorni di un voto di fiducia al premier — è il primo a sapere che l’esecutivo deve uscire dalla palude e dar vita a una rapida ripartenza. Risolvere il rebus delle coperture per Imu e Iva non basta a rilanciare la crescita, tanto che il governo, ha rivelato Brunetta, sta mettendo in cantiere una «operazione di aggressione del debito e rilancio della politica economica a 360 gradi», che passerà attraverso la dismissione di pezzi del patrimonio pubblico e la rivoluzione del fisco. Un’agenda rafforzata insomma, che guardi anche oltre il cronoprogramma di 18 mesi.

Ma se vuole restituire fiducia ai cittadini, prima il capo del governo deve mettere la parola fine alla crisi kazaka, blindando Alfano come Napolitano ha blindato lui. Ribadirà che il governo (e dunque il ministro dell’Interno) è «del tutto estraneo» alla procedura e alle «anomale e gravi modalità di espulsione» della moglie e della figlia del dissidente Ablyazov e che non c’è, in questa inquietante vicenda, alcuna responsabilità al livello politico. Ci sono però «ombre e dubbi» e il premier è determinato a scacciarli una volta per tutte, a conferma che la linea della «trasparenza assoluta» non è finzione. «Fatti come questo non devono più succedere» ammonirà Letta, chiamando per nome i responsabili, chiedendo che la macchina organizzativa dello Stato torni a funzionare in modo più oliato e insistendo sul punto critico fondamentale: la mancata informativa al governo circa i fatti che da subito, secondo Letta, sono apparsi rilevanti ai ministri interessati.

Quanto al Pd, che non gli ha risparmiato l’artiglieria del fuoco amico, Letta rimanda il chiarimento alla prossima settimana, quando interverrà alla direzione del partito. Oggi vuole volare alto, cercando di non rinfocolare tensioni, polemiche e tentazioni ribaltoniste. Per lui il problema Renzi esiste, eccome. Ma a Palazzo Chigi si dicono convinti che, «dopo le parole di Napolitano», tutti coloro che avessero voglia di staccare spine abbasseranno i toni, per non finire additati come gli «irresponsabili» che danneggiano il Paese. Le larghe intese, è il messaggio al Pd, sono un passaggio «obbligato». Il governo andrà avanti «con determinazione» e resisterà, spera Letta, anche al terremoto del 30 luglio, quando la Cassazione deciderà sulla vicenda Mediaset e il destino politico di Berlusconi.

Monica Guerzoni


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