L’esercito spara: Egitto sull’orlo della guerra civile
Alba di sangue in Egitto. L’esercito apre il fuoco contro i manifestanti pro-Morsi che circondano il quartier generale della Guardia repubblicana al Cairo. Crepitano le mitraglie, dai tetti entrano in azione i cecchini. È una massacro. L’Egitto sta precipitando nel baratro della guerra civile. In serata, i militari lanciano l’ultimatum dopo gli scontri partiti all’alba: «L’esercito egiziano non permetterà a nessuno di minacciare la sicurezza nazionale», spiega il portavoce delle Forze armate, Ahmed Ali. L’esercito ha poi chiesto che «vengano smobilitati i sit-in» e promette che i «manifestanti non saranno arrestati». Nelle stesse ore, la più alta autorità musulmana d’Egitto, Ahmed al-Tayeb, grande imam della moschea di al-Azhar al Cairo, il più grande centro culturale sunnita. ha lanciato il suo monito al Paese sul rischio di guerra civile, aggiungendo che si ritirerà fino a quando le violenze non avranno fine. L’imam si è rivolto agli egiziani attraverso la tv di Stato e ha fatto appello alle autorità affinché la transizione iniziata la scorsa settimana con la deposizione del presidente Mohamed Morsi non vada oltre i sei mesi.
A UN PASSO DAL BARATRO
L’imam ha concluso il suo appello invocando «entro due giorni» l’istituzione di un comitato di riconciliazione nazionale e «un’inchiesta immediata» sugli scontri verificatisi all’alba di ieri tra sostenitori del presidente deposto Mohamed Morsi ed esercito davanti alla sede della Guardia Repubblicana, in cui hanno trovato la morte 51 persone secondo le autorità sanitarie (435 i feriti), 77 invece per i Fratelli musulmani, tra cui otto donne e sette bambini, di cui due piccolissimi. Un portavoce delle forze dell’ordine ha dichiarato che negli scontri hanno perso la vita due ufficiali della polizia e uno dell’esercito. Un portavoce del Consiglio supremo di difesa ha aggiunto:«L’esercito non permetterà a nessuno di minacciare la sicurezza nazionale». La presa di posizione dell’imam al-Tayeb contrasta apertamente con l’invito rivolto agli egiziani dalla Fratellanza perché si rivoltino contro l’esercito. Mohamed Badie, guida suprema del movimento, ha accusato il capo dell’esercito, generale Abdel-Fattah al-Sissi, di voler «condurre l’Egitto verso lo stesso destino della Siria». Per accertare la verità su questa pagina sanguinosa della crisi egiziana il presidente ad interim Adly Mansour ha ha ordinato l’apertura di un’inchiesta ufficiale sulla sparatoria, come chiesto anche da uno dei principali leader dell’opposizione, Mohamed El Baradei. Mansour ha espresso il suo profondo rammarico per la perdita di vite umane, ma ha anche chiesto ai manifestanti di non avvicinarsi più a strutture militari o ad altri obiettivi «vitali». Ma l’accaduto, aggiunge un portavoce della presidenza, non fermerà il processo di formazione di un governo ad interim.
La polizia e l’esercito sono intervenuti per disperdere la protesta, ma la situazione è degenerata in scontri. Uno dei membri della Fratellanza parla di cecchini in azione: «I soldati hanno lanciato gas lacrimogeni e successivamente alcuni cecchini hanno aperto il fuoco. I morti sono stati quasi tutti colpiti alla testa». I Fratelli musulmani si dicono in possesso di video e bossoli a riprova che l’esercito ha sparato sui manifestanti. L’esercito ha immediatamente ribattuto con una nota secondo cui «la sede della Guardia Repubblicana è stata assaltata all’alba da un gruppo di terroristi». In una conferenza stampa congiunta, l’esercito e la polizia hanno sostenuto che sono state le truppe a difendersi da un attacco con armi da fuoco dei manifestanti islamisti contro il quartier generale della Guardia repubblicana. Dopo il massacro, il partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli musulmani, ha incitato alla «rivolta del grande popolo d’Egitto contro coloro che vogliono rubargli la sua rivoluzione con i carri armati», esortando al tempo stesso «la comunità internazionale, i gruppi stranieri e tutti gli uomini liberi del mondo a intervenire per impedire altri massacri e la nascita di una nuova Siria nel mondo arabo». In serata, la Casa Bianca ha esortato i militari egiziani alla «massima moderazione» nella gestione dell’ordine pubblico, evitando rappreseglie, arresti di massa e la chiusura dei media. La Casa Bianca La Casa Bianca ha aggiunto che è ancora in corso la valutazione sulla natura della deposizione di Mohamed Morsi.
La strage ha avuto un’immediata ripercussione politica: Nour, secondo partito salafita egiziano, si è ritirato dai colloqui per la formazione del governo. Lo ha riferito un portavoce, Nader Bakar: «Abbiamo annunciato il ritiro da tutti i negoziati per la nascita del nuovo esecutivo, come prima risposta al massacro della Guardia repubblicana». Ma i colloqui per la formazione del governo continuano e dovrebbero portare alla nomina dell’economista Ziad Bahaa El-Din, 48 anni, a premier ad interim dell’Egitto. Lo ha affermato il portavoce presidenziale Ahmed al-Muslimani all’emittente privata OnTv. Il portavoce ha spiegato che il presidente Mansour ha scelto El-Din in quanto «tecnocrate» privo della forte caratterizzazione politica del primo nome circolato per la carica di premier, Mohamed el Baradei. E dopo aver bloccato con la loro intransigenza la candidatura del premio Nobel per la pace, i salafiti di Nour sono tornati a auspicare «un dialogo nazionale di riconciliazione sincero». L’ennesima giravolta nel caos egiziano.
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