L’Emilia, Giovanardi e le cosche

by Sergio Segio | 2 Luglio 2013 18:19

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Ha trasportato più di mille tonnellate di detriti nel dopo terremoto dell’Emilia. E’ protagonista del maxi appalto Expo 2015. Ora però nero su bianco ci sono rapporti sospetti, i nomi dei dipendenti vicini alla ‘ndrangheta, le accuse di smaltimenti illegali di amianto nell’area del Cratere sismico.

Elementi che hanno portato la Prefettura di Modena a bloccare la Bianchini Costruzioni di San Felice sul Panaro, comune della Bassa modenese tra i più colpiti dal sisma dello scorso anno. Un altro colosso emiliano dell’edilizia stoppato per possibili tentativi di infiltrazione nella gestione aziendale.

Nel 2010 ha fatturato quasi 15 milioni di euro. E compare anche nel maxi appalto da 58 milioni di euro dell’Expo 2015: ha ottenuto un subappalto dalla cooperativa ravennate Cmc. E’ arrivata la settimana scorsa negli uffici della Bianchini l’interdittiva antimafia. La prima conseguenza è l’esclusione dalle “White list” prefettizie alle quali devono iscriversi le aziende che intendono partecipare ai lavori della ricostruzione post terremoto. Un provvedimento destinato ad alimentare aspre polemiche nei salotti della politica locale e nazionale. Così come è accaduto per la sospensione della società modenese Baraldi, difesa a oltranza dall’ex ministro Carlo Giovanardi, che qui ha il suo feudo elettorale.

La crociata di Giovanardi

Il senatore azzurro non ha lesinato critiche né al prefetto di Modena Benedetto Basile né agli investigatori che devono monitorare gli appalti per la ricostruzione. E ha portato fin dentro le aule parlamentari il “caso Baraldi” con interrogazioni e proposte di modifica alla normativa sulle interdittive antimafia e sulle “White list”.

Una crociata cominciata l’indomani della notizia pubblicata da “l’Espresso” dell’esclusione della Baraldi dalle liste pulite. Da maggio l’ex ministro ha iniziato la sua crociata schierandosi a difesa della società esclusa, storica associata di Confindustria modenese e sospettata di legami con i re delle bonifiche genovesi, i fratelli Mamone, imprenditori con amicizie nella ‘ndrangheta ligure. I legali di Bianchini faranno ricorso al Tar. Ma i titolari sperano, in cuor loro, nell’interessamento del politico.

Così come ha fatto per la loro concorrente, consigliando al prefetto di interessarsi delle aziende che vengono dai territori del Sud e di lasciare lavorare le aziende locali, fiore all’occhiello del miracolo economico emiliano. E ora che Benedetto Basile è andato in pensione si apre il totonomine per il suo sostituto. Verrà scelto in un clima arroventato dalle dichiarazioni pubbliche di Giovanardi. Che, e’ innegabile, se pur indirettamente hanno creato un clima di pressione nelle stanze del ministero dell’Interno guidato dal collega di partito Angelino Alfano e dove si deciderà il prossimo rappresentante del governo sul territorio. E chiunque arriverà non avrà un compito semplice vista la presenza radicata delle cosche e la complicata gestione della ricostruzione.

Cosa loro”

Mentre la politica locale è distratta dal dibattito sulla bontà dei provvedimenti prefettizi, i documenti degli investigatori confermano che la ricostruzione post sisma è “Cosa loro”. ‘Ndrangheta e Clan dei Casalesi in prima fila per ricucire l’Emilia ferita nel suo cuore produttivo. I padrini calabresi specialisti nel trasporto di terra e macerie sono stati i primi a muovere tonnellate di detriti. Prima i ripetuti allarmi lanciati dagli investigatori, poi le prime avvisaglie, ora la certezza che le cosche stanno lavorando a pieno ritmo nei cantieri della rinascita. E lo fanno grazie a rapporti costruiti nel tempo con aziende locali. Giganti del settore che improvvisamente si ritrovano nel ventre volti e mezzi targati ‘ndrangheta, braccia e artigiani marchiati Casalesi. Sono oltre 15 le aziende a cui è stata negata l’iscrizione alle “White list” delle prefetture. Molte erano già a lavoro chiamate nei giorni dell’emergenza. E tante di queste parlano emiliano. L’ultima fermata è la Bianchini Costruzioni. Fuori dai lavori dunque la società che fin dai primi giorni dopo le violente scosse ha lavorato senza sosta. E sulla quale pende un’inchiesta della procura di Modena per smaltimento di illecito di amianto nelle zone del Cratere sismico. La società modenese in sei mesi ha trasportato per conto della ex municipalizzata Aimag oltre mille tonnellate di macerie. La decisione delle Prefetture di Modena e Reggio Emilia arriva in seguito ai dossier del nucleo investigativo dei Carabinieri di Modena e del Girer, il gruppo interforze istituito dal ministero dell’Interno per vigilare sulla ricostruzione. L’ennesimo colpo che lascerà dietro di sè uno strascico di polemiche negli ambienti politici emiliani.

‘Ndrine all’emiliana
Agli atti ci sono i rapporti tra la società Bianchini con le potenti cosche del Crotonese da decenni radicate tra Modena, Reggio Emilia e Parma. Tra i dipendenti «assunti nel periodo immediatamente successivo al terremoto» spuntano nomi e cognomi di pregiudicati legati alle ‘ndrine o frequentatori dei Mammasantissima. I detective ne hanno contati sette di assunti a tempo determinato tra il 2012 e il 2013. Tra questi c’è Gaetano Belfiore, incensurato, «legato sentimentalmente» alla figlia del super boss Nicolino Grande Aracri conosciuto nell’ambiente come “Mano di gomma”. Il re- insieme al fratello Francesco- di Brescello, il paese conosciuto nel mondo per la saga di “Don Camillo e Peppone” e che oggi è il feudo settentrionale dei padrini calabresi.

Inoltre nei cantieri dove la Bianchini ha lavorato in subappalto per la romagnola Cmc, i detective si sono ritrovati davanti Michele Bolognino, «condannato per associazione mafiosa». La sua presenza ha insospettito gli investigatori. Anche perché non compare nella lista degli operai, perciò lo ritengono una sorta di intermediario tra l’azienda e la cosca Grande Aracri. Il dossier getta ombre pesanti sull’attività dell’azienda della Bassa modenese. E nel rapporto sono finiti i rapporti economici con Virginio Villani, reggiano doc che condivide il consiglio di amministrazione della ditta di escavazione di proprietà del gruppo Muto, una holding familiare dell’autotrasporto che ha creato un impero tra l’Emilia e la Liguria «nota da tempo per la contiguità ai Grande Aracri».

Il fratello del sindaco

Le relazioni sospette elencate dai detective portano dritti al potere locale. Virginio Villani è il fratello di Francesco, vicesindaco di Gualtieri, paesone della Bassa Reggiana e compreso nella zona di influenza del clan Grande Aracri. Tra il 2008 e il 2009 gli affari della società modenese hanno incrociato quelli di Virginio Villani, condannato in appello a 10 mesi per violazione delle norme sulla gestione dei rifiuti. Il figlio Marco è proprietario dell’ impresa Lg, bloccata per sospetti di infiltrazione mafiosa dal prefetto di Reggio Emilia. A chiedere informazioni sull’azienda di Marco Villani è stato il Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale, dove il politico e zio dell’imprenditore interdetto è membro in carica come assessore delegato.

Dalle macerie all’Expo
Ancora una volta sui cantieri dove stanno prendendo forma le strutture che ospiteranno l’esposizione universale del 2015 piombano i sospetti di infiltrazione mafiosa. Una vetrina internazionale sporcata dalle impronte dei clan. E già, perché il decreto che ha estromesso la Bianchini dalla ricostruzione potrebbe avere conseguenze anche nella vicina Milano, là dove ci sono i cantieri Expo e nei quali la ditta della Bassa modenese è tra i subappaltatori nuovamente della Cmc di Ravenna. Annotano anche questo gli investigatori. L’appalto riguarda la rimozione delle interferenze presenti nelle aree destinate all’Expo. Valore 58 milioni di euro, vinto dalla cooperativa romagnola con il 42 per cento di ribasso rispetto alla base d’asta. Un’enormità. Poi colmata dal consiglio di amministrazione che ha stanziato un costo extra, non previsto, di 28 milioni in favore della Cooperativa ravennate per la bonifica del terreno risultato contaminato. La Bianchini risulta tra le aziende subappaltatrici assieme alla Elios, anch’essa finita nel mirino della Prefettura di Milano e poi riammessa dopo avere vinto la battaglia amministrativa con l’ufficio territoriale del Governo. Così dopo la prima inchiesta de “l’Espresso” del novembre scorso che aveva svelato la presenza di una ditta in odore di mafia in un secondo appalto milionario dell’Expo vinto dalla Mantovan Spa, ora dall’Emilia arriva un’altra tegola sul futuro di quei cantieri. «Dipendenti contigui alla criminalità organizzata, la “familiarità” con le contestazioni dei reati ambientali», motivazioni pesanti che hanno messo la Bianchini fuori gioco e che provocheranno non poche polemiche. Segnali inquietanti di un’Emilia ferita e non più felix.

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