La voglia dello strappo: rinunciare alla corsa alla guida dei democratici

by Sergio Segio | 18 Luglio 2013 6:57

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Il sindaco di Firenze sospetta che vi sia un patto tra Enrico Letta ed Epifani finalizzato a far rimanere entrambi al loro posto. Uno a Palazzo Chigi, l’altro alla segreteria, rinviando sin die le assise nazionali. Renzi, così, sarebbe fatto fuori e consegnato al ruolo di risorsa di un futuro che potrebbe non arrivare mai.

«A questo punto, si tenessero questo partito e perdessero, visto che non aspirano ad altro, io me ne resto a Firenze», è lo sfogo del primo cittadino del capoluogo toscano, che è fortemente tentato dall’idea di rinunciare alla corsa alla segreteria. Tant’è vero che i suoi sono in allarme e cercano di fargli cambiare idea. Avranno una giornata per farlo, perché poi stasera Renzi sarà ospite di Enrico Mentana e in quella sede potrebbe annunciare lo strappo e la rinuncia alla corsa. «Così la dai vinta ai vari Letta, Bersani, Epifani», gli dicono i fedelissimi, che sperano in un ravvedimento dell’ultima ora.

Insieme a Letta ed Epifani nella partita per stoppare la corsa di Renzi alla segreteria, ovviamente, secondo i renziani, ci sarebbe anche Franceschini. Il primo cittadino del capoluogo toscano lo ha incontrato ieri mattina a Roma, dove ha fatto una scappata in mattinata. Nel Pd è noto a tutti che il ministro per i rapporti con il Parlamento vorrebbe mettere l’attuale situazione nel congelatore per preservare il governo. Addirittura ieri suggeriva di rinviare i gruppi parlamentari che dovrebbero discutere del caso Alfano: «Angelino non si tocca sennò cade tutto». Un modo di fare che non piace a Renzi che con i suoi, scherzando, paragona il ministro dell’Interno a Schettino e poi spiega che, comunque, il problema riguarda Letta: «Deve essere lui a dirci se si fida di Alfano».

Fino all’altro ieri il primo cittadino del capoluogo toscano era un caso isolato. Lui e i suoi sembravano gli unici che puntavano l’indice contro il titolare del Viminale. Adesso non è più così. Il via lo ha dato l’ex segretario del Pd Veltroni il quale, intervistato da Bianca Berlinguer, ha sostenuto che le dimissioni di Alfano non farebbero automaticamente cadere il governo. Quindi è stata la volta di due autorevoli esponenti del partito molto vicini a D’Alema: Gianni Cuperlo e Anna Finocchiaro. Loro assicurano di aver agito in perfetta autonomia, ma c’è chi sospetta che dietro ci sia lo zampino dell’ex premier, che, da politico navigato com’è, si è reso perfettamente conto di quanto sia difficile per l’elettorato del Pd superare questo passaggio.

Ha timbrato il cartellino della linea dura anche la terza corrente del Pd, quella bersaniana, sebbene lo abbia fatto con maggiore discrezione per non dare l’impressione di voler mandare all’aria il governo Letta. L’idea che Pier Luigi Bersani ha illustrato ieri a più d’uno dei suoi è questa: «Berlusconi non è nelle condizioni di rovesciare il tavolo del governo, perciò se noi insistiamo nel chiedere le dimissioni alla fine ce le dovranno dare». E a questo proposito hanno cominciato a prendere piede ipotesi fantasiose, che riecheggiano la prima Repubblica: Alfano potrebbe rimettere la delega dell’Interno (come, per esempio, propone Rosy Bindi), il suo posto potrebbe essere preso da un volto giovane, magari una donna, tipo Beatrice Lorenzin (assai stimata pure a sinistra) o Mariastella Gelmini. Ma Enrico Letta e Dario Franceschini hanno riportato tutti alla dura realtà dei fatti: se cade Alfano, cade il governo, quindi non ci sono margini di manovra.

Dunque, la linea del Pd a questo punto è esattamente quella che, in segreteria, con aria imbarazzata e sconsolata spiegava Guglielmo Epifani: «Non si possono chiedere le dimissioni di Alfano, anche se lui dovrebbe dimettersi». A questo punto la preoccupazione del gruppo dirigente del Partito democratico è una sola: evitare che nelle assemblee dei gruppi parlamentari di oggi (in special modo in quella del Senato) ci siano troppe voci dissenzienti e scongiurare l’eventualità che domani, nell’aula di Palazzo Madama, ci sia una pattuglia abbastanza nutrita che diserti il voto. E’ l’incubo dei vertici di largo del Nazareno, visto che non sono solo i senatori renziani a masticare amaro sul caso Alfano.

Per questa ragione in segreteria, pur facendo riferimento a episodi passati, quali la votazione sulla sospensiva dei lavori parlamentari sollecitata la settimana scorsa dal Pdl, è stato lanciato quello che al renziano Luca Lotti è sembrato un appello al centralismo democratico. «Ma tu non sai neanche che cosa sia il centralismo democratico!», gli ha urlato a brutto muso il responsabile organizzativo Davide Zoggia. Il quale si è sentito così rispondere da Lotti: «E tu non sai che cosa sia la democrazia». E’ in questa atmosfera tutt’altro che idilliaca che il Partito democratico si accinge ad affrontare l’ennesima prova difficile pur di salvaguardare l’alleanza con il Pdl. E’ in questo clima che Letta, domani, dovrà dire che «si fida di Alfano».

Maria Teresa Meli

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