La telefonata al sindaco: basta

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LONDRA — Enrico Letta finisce di rispondere alla stampa italiana e imbocca l’uscita della residenza diplomatica, lasciando i giornalisti a domandarsi perché abbia voluto schivare le domande più imbarazzanti sulla scivolosa situazione italiana. Ma basta una frase filtrata dallo staff per mettere a fuoco la strategia: «È importante quello che ha detto, ma forse lo è di più quel che non ha detto…».

È stata per Letta una giornata «molto importante» per l’incontro con David Cameron, con il quale ha rafforzato una forte sintonia anche generazionale (sono entrambi del 1966): «Sono veramente contento, c’è un buon feeling tra noi». Ma poiché è stata anche una giornata molto pesante per il fuoco amico che lo ha bersagliato dall’Italia, i silenzi del premier cadono come pesanti moniti. Rivolti a quella parte della classe politica che — chiedendo le dimissioni del vicepremier — rischia di minare l’immagine dell’Italia e mettere in fuga gli investitori.

«Torno a Roma da Londra dopo due giorni di incontri con persone che ci chiedono quella stabilità politica fondamentale per la crescita — è il leitmotiv — Chiedo ai partiti di continuare sulla via delle riforme istituzionali». Parole con le quali Letta si prepara a lanciare un avvertimento alle forze politiche: soffiare sul fuoco è un comportamento «da irresponsabili», che lavorano «contro l’Italia». Domani, intervenendo al Senato in difesa di Angelino Alfano minacciato dalla sfiducia delle opposizioni, ricorderà che l’esperimento delle larghe intese nasce dal discorso del capo dello Stato sulla degenerazione del sistema dei partiti.

L’affaire Shalabayeva è una grossa mina per il governo e Letta ha deciso di metterci la faccia, come gli ha chiesto Renzi e come invocano in tanti anche nel Pd. Ribadirà che il governo ha agito all’insegna della «trasparenza assoluta» e proverà a chiudere il caso, fugando quelle ombre e quei dubbi che lui, assicura, «non ci sono».

È il tentativo di rispondere alle polemiche frontali con le scelte concrete, per lasciare agli altri la responsabilità eventuali di contenziosi e strappi che indeboliscono l’Italia. Non a caso, quando gli chiedono delle spinte antigovernative che scuotono il Pd o quando lo incalzano su Matteo Renzi, lui nemmeno lo nomina: «Ho voluto io l’inchiesta del prefetto Pansa, sono tranquillissimo e non vedo nessun problema con il mio partito». Nemmeno con il sindaco, presidente? «Assolutamente». I cronisti insistono e lui finalmente scandisce il nome del futuro sfidante: «Con Renzi non ho nessun problema, ci parliamo continuamente». Vero, ma adesso anche i muri di Palazzo Chigi sanno quanto tormentati siano gli scambi telefonici, vocali o via sms, tra Enrico e Matteo. Anche ieri i due si sono sentiti e il premier avrebbe detto al sindaco, fuori dai denti, che le sue mosse sul giallo kazako rischiano di tirar giù il governo. Renzi ha risposto con una newsletter che i lettiani leggono così: «Serve a convincere gli italiani che non è lui l’assassino…».

E ora Letta deve scegliere, continuare a fare quadrato su Alfano o spingerlo al passo indietro come gli chiede ormai quasi tutto il Pd. Nell’entourage del premier non escludono che, prima o poi, decida di «dare una botta» ai democratici, dilaniati dalle tensioni precongressuali.

Ma ieri, no. Ieri il premier — dopo essersi consultato da Londra con Giorgio Napolitano, che lo ha spronato a tirare dritto — ha offerto l’immagine di un capo di governo che vola alto, pensa ai destini del suo Paese e parla «con i leader del mondo», per convincerli che l’Italia è affidabile e che realizzerà le riforme promesse.

Il problema, anche secondo Renzi, è proprio questo: è l’impasse sul fronte delle «cose da fare», è la mancanza di un colpo d’ala che restituisca fiducia. Ed è su questo fronte che Letta tornerà a concentrarsi sin da questa mattina, partecipando al vertice di maggioranza convocato da Dario Franceschini per cercare la quadra su Imu e Iva.

A Londra è parso stanco, provato dalle continue preoccupazioni, eppure i collaboratori lo descrivono ottimista e di animo sereno. «Questo Paese ha tante opportunità — rassicura la stampa internazionale Letta — E io ho intenzione di continuare a lavorare con determinazione». E se il 30 luglio Berlusconi fosse condannato? «Vedremo… Ma io non ho niente da dire, non ho mai commentato le sentenze, l’ho spiegato anche a Christiane Amanpour della Cnn…». E quanto punterebbe, presidente, sulla durata del suo governo? «Io non ho mai scommesso in vita mia, ma non vedo nubi all’orizzonte. Sono concentrato sulla missione di mettere in campo politiche utili e ho intenzione di continuare in questa direzione».

Monica Guerzoni


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ROMA — Stavolta il «facilitatore» è lui, Giorgio Napolitano. Infatti sta spendendo tutto il potere di persuasione di cui dispone — potere molto accresciuto, dopo la rielezione — per «facilitare» lo sbocco di una crisi più che politica, ormai di sistema.

I giochi non sono fatti

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IL COMPROMESSO SULLA DATA DEL CONCLAVE
Allora, è fatta. Dopo quattro giorni di lavoro delle varie Congregazioni Generali dei cardinali, durante i quali si sono esaminati i principali problemi della Chiesa – il dialogo interreligioso, la bioetica, il ruolo della donna nella Chiesa e altro – l’ottava ha stabilito che il conclave avrà  inizio martedì prossimo, 12 marzo, con la messa Pro eligendo pontifice al mattino e l’ingresso nella Cappella Sistina, tradizionale sede dei lavori, nel pomeriggio.

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