La spinta del Quirinale per cancellare il Porcellum: Non possiamo aspettare che decida la Consulta

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«POSSIAMO permetterci di aspettare la sentenza della Corte costituzionale?». No, il Porcellum va cambiato subito. Magari con una legge elettorale transitoria. Una clausola di salvaguardia che metta al riparo il sistema politico dagli effetti distorsivi della “maialata” escogitata nel 2006 da Roberto Calderoli.
Giorgio Napolitano torna a far sentire la sua voce con i leader politici. In particolare con quelli che sostengono il governo Letta.

IL PREMIER lo sa e cerca di muovere il primo passo. In modo del tutto «discreto», ma pronto ad affiancare gli sforzi dei partiti. Ad agevolarne la trattativa.
Il rischio però che il Paese possa ritornare al voto con l’attuale sistema elettorale agita non poco il Quirinale. Che, infatti, nei giorni scorsi ha trasmesso in via del tutto ufficiosa l’invito a imbastire una soluzione prima che la Corte costituzionale si pronunci proprio sulla costituzionalità della legge. Il capo dello Stato ne ha parlato con molti dei gruppi parlamentari presenti alla Camera e al Senato. L’ultima volta è stata giovedì scorso, durante l’incontro con due esponenti di Scelta Civica, il capogruppo alla Camera Lorenzo Dellai e Renato Balduzzi: La situazione è chiarissima — è stato il suo ragionamento — possiamo davvero permetterci di aspettare la pronuncia della Consulta? Del resto la linea seguita negli ultimi anni dal Colle su questo punto non è cambiata. Gli appelli a correggere il peggior sistema elettorale che l’Italia abbia mai avuto è stato costante. La risposta fino ad ora negativa.
Eppure negli ultimi giorni, proprio alla luce dei richiami informali del Quirinale, uno spiraglio si è aperto. La recente intervista rilasciata a
Repubblica dal Presidente del Senato Grasso e l’apertura fatta ieri dal ministro delle riforme Quagliariello ne sono la più evidente prova. Il tentativo di mettere mano alla riforma prima che si approvino le eventuali — molto eventuali — modifiche alla Costituzione e alla quindi alla forma di governo, sembra guadagnare terreno. Certo, il percorso resta comunque irto di difficoltà. «Ci dobbiamo provare ma l’accordo non c’è per ora», dice anche Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il Parlamento e “plenipotenziario” di Letta. E sebbene il titolare delle riforme, proveniente dalle file Pdl, abbia quasi superato a sinistra il Pd, in realtà è proprio dal centrodestra che vengono sollevati i principali ostacoli. Anzi, le reazioni di ieri sono anche dettate da una sorta di regolamento di conti interno: con i ”falchi” pronti a “beccare” Quagliariello. Il quale però ha incassato una sorta di via libera informale di Napolitano che gli ha fatto pervenire il suo commento: «Sono totalmente d’accordo con lei».
C’è un appuntamento che l’inquilino del Colle considera fondamentale: il giudizio della Corte costituzionale. Se il Parlamento non arriverà prima, il possibile pronunciamento di incostituzionalità sarebbe «perentorio ». A quel punto le forze politiche sarebbero costrette a prenderne semplicemente atto. E se tutto precipitasse nel voto anticipato, l’effetto ancora più distorsivo sarebbe quello di presentarsi alle urne senza nemmeno il premio di maggioranza che almeno a Montecitorio garantisce un minimo di governabilità. Come scriveva domenica scorsa su questo giornale Eugenio Scalfari, «la legge elettorale, che è stata infilata (non si capisce perché) nella legge costituzionale affidata all’apposita commissione dei 40, va rimessa a disposizione del Parlamento. Non si può infatti correre il rischio che un ritiro della fiducia al governo da parte di un partito avvenga senza che l’abolizione del “Porcellum” sia compiuta. La legge elettorale non deve essere ingabbiata e condizionata dalle riforme costituzionali. Si tratta di una legge ordinaria ma fondamentale e non può essere sottratta alla libera disponibilità del Parlamento».
Le indicazioni fornite dal Quirinale — ma in passato la stessa Consulta aveva già espresso i suoi pareri non ancora vincolanti — puntano allora a «mettere in sicurezza» il sistema rivedendo proprio il premio di maggiorandi ridimensionandone l’entità o introducendo una soglia minima di accesso. Ossia solo chi supera, ad esempio, il 40 per cento può conquistare lo “spread” per raggiungere la maggioranza assoluta. A questo riguardo nella maggioranza si stanno prendendo in considerazione due opzioni: una sorta di “premio graduale”, appunto, o un originale doppio turno nazionale. Con le due maggiori coalizioni che si contendono il premio al ballottaggio. Gli altri due “nodi” riguardano invece il ritorno alla possibilità che l’elettore scelga i candidati (dando finalmente l’addio alle liste bloccate) e la previsione di un premio al Senato come quello di Montecitorio per evitare la formazione di maggioranze diverse come è accaduto a febbraio scorso.
Certo, resta forte la tentazione di sottrarsi al confronto da parte di un pezzo del Pd e dell’intero fronte berlusconiano che ritiene anche al prossimo giro di poter lucrare da una legge che non garantisce la governabilità nelle due Camere. Non a caso nei giorni scorsi si era profilato una sorta
“patto scellerato” in cui si scambiava la rinuncia del Pdl a insistere sulla riforma della giustizia con la disponibilità del centrosinistra a procrastinare l’intervento sul Porcellum. Un’ipotesi messa in crisi proprio dal pressing del Quirinale.
Un’intesa non può comunque essere raggiunta in tempi brevi. Nessuno immagina una soluzione in «quattro e quattr’otto». Serve semmai discrezione e soprattutto capire quali sono i tempi a disposizione del Parlamento prima che la Consulta emetta la sua sentenza. In realtà i giudici costituzionali metteranno la questione all’ordine del giorno dopo il prossimo 15 settembre. Quando, cioè, l’attuale presidente Franco Gallo terminerà il suo mandato e verrà scelto il successore. La “corsa” è tra Gaetano Silvestri, considerato vicino al centrosinistra, e Luigi Mazzella, ex ministro del governo Berlusconi. In autunno quindi il ricorso contro il Porcellum dovrà superare l’esame preliminare di ammissibilità. Se così sarà, la sentenza dovrebbe essere prevista nella primavera del 2014. I partiti hanno tempo fino a quel momento. E molti, nel governo, iniziano a pensare che sia proprio quella scadenza la miglior polizza per la sopravvivenza dell’esecutivo fino al prossimo anno. A meno che il Cavaliere non faccia precipitare tutto proprio il prossimo autunno quando arriverà la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset.


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