La sfiducia ad Alfano lacera il Pd Ma Letta difende il ministro

by Sergio Segio | 18 Luglio 2013 6:53

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ROMA — L’unica cosa certa è che il Pd non voterà la mozione di sfiducia ad Angelino Alfano presentata da Sel e M5S. Dopo una giornata di tensione massima, di richieste al ministro – sia da parte dei renziani che di esponenti di altre aree del partito – di rinunciare alle deleghe, di fare un passo indietro, di evitare di arrivare a un voto imbarazzante – dalla segreteria del Nazareno arriva l’ordine di scuderia: «Non potranno essere votate le mozioni dell’opposizione contro il governo», perché l’esecutivo «deve proseguire nell’opera di risanamento» del Paese.

Sarà oggi all’ora di pranzo, nella riunione dei gruppi parlamentari, che si constaterà quanto la linea sarà sostenuta dai singoli parlamentari, quanti voteranno in dissenso, quanto pesante sarà portare avanti in Aula una posizione che per molti nel partito è «indifendibile». E che comunque mette in grande difficoltà il governo, su un fronte delicatissimo come quello del funzionamento dei corpi dello Stato, saltato nel caso Ablyazov.

A ieri sera infatti – e comunque alla vigilia dell’importante discorso del Ventaglio che terrà oggi Napolitano -, le posizioni apparivano cristallizzate e foriere di strascichi pesanti per il prosieguo della legislatura.

Enrico Letta, da Londra, dopo aver annunciato che domattina sarà lui ad intervenire al Senato nella discussione sulla mozione di sfiducia contro il suo vicepremier perché «ho deciso una linea di massima trasparenza, è fondamentale che non ci siano ombre o dubbi», ha anche coperto e difeso l’operato del ministro: «Dalla relazione di Pansa emerge la totale estraneità di Alfano da quella vicenda». Legando di fatto, a meno che non intervengano novità eclatanti sul caso, la permanenza di Alfano al suo posto alla vita del governo e alla stabilità «del Paese». Anche perché nel Pdl non sono intenzionati a fare sconti: il cordone di protezione attorno al segretario regge, e nonostante le voci di una sua possibile rinuncia alle deleghe di ministro (resterebbe vicepremier e un altro pidiellino prenderebbe il suo posto) Berlusconi non è parso disposto a passi indietro: «Alfano – è il suo refrain – non si tocca». E d’altronde, come dicevano ieri sera i big del Pdl prima di un vertice a Palazzo Grazioli «non si vede perché, con un Pd spappolato e diviso, dovremmo fare questo immenso regalo a loro e a Renzi».

Sì, perché chi esce quasi lacerato dalla vicenda, oltre ad Alfano che certamente ha ricevuto un colpo di quelli difficili da assorbire, è proprio il Pd. Dove all’iniziale malumore di martedì a caldo, ieri è subentrato un clima rovente. La riunione dei gruppi già prevista è stata sconvocata e rimandata ad oggi, e Matteo Renzi, che era partito per primo nel giudicare insufficiente la relazione di Alfano e meritevole dei chiarimenti di Aula «da parte del presidente del Consiglio in persona», ieri sera è stato durissimo nell’accusare il suo partito di giocare in pratica sulla pelle di una bambina di 6 anni per «ragioni di congresso di partito». Ma i renziani non sono stati i soli a chiedere il passo indietro di Alfano. Perché a loro durante la giornata si sono aggiunti in tanti del Pd, di tutte le aree: da Anna Finocchiaro a Rosy Bindi, da Gianni Cuperlo a Pippo Civati, in rappresentanza in pratica di tutte le aree del partito. E anche in Scelta civica crescono i dubbi, come peraltro forti lo sono fin dal primo momento nella Lega. La richiesta è quella di rinuncia alle deleghe, ma a ieri sera né lo stesso ministro né i suoi avevano la minima intenzione di concedere alcunché alle richieste degli alleati: «Alfano non deve dimettersi né rinunciare alle deleghe, ci mancherebbe altro – avvertiva Gasparri -. Se il Pd gli votasse contro? Beh, è ovvio che sarebbe crisi».

Paola Di Caro

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