by Sergio Segio | 12 Luglio 2013 7:17
NEW YORK. Non vi fidate dell’euro come deposito di valore stabile dei vostri risparmi? Il dollaro vi sembra esposto ai capricci della politica americana? I recenti scandali di spionaggio vi hanno convinto che il Grande Fratello governativo, oltre alle vostre email e telefonate, controlla fin troppo i vostri conti correnti e carte di credito? Bitcoin fa per voi: la prima moneta interamente digitale, è libera da ogni controllo statale. Qui a Manhattan esiste già un bar-night club, EVR, dove potete pagare in Bitcoin, un ritrovo per aficionados di questo esperimento monetario che è anche una forma di rivolta contro l’ordine costituito. Nella Silicon Valley californiana c’è chi riceve uno stipendio pagato in Bitcoin, e spende le sue monete elettroniche presso esercizi commerciali (per lo più online) che le accettano. La preistoria di questo evento (forse) rivoluzionario si fa risalire al gennaio 2009: fu allora che nacque Bitcoin, la valuta che nei sogni dei suoi fondatori farà concorrenza a dollaro, euro, sterlina, yen.
Il suo battesimo del fuoco è avvenuto nella primavera diquest’annoincoincidenza con la crisi di Cipro: ci fu una corsa a speculare in Bitcoin, che ne fece esplodere il valore. Un po’ come se la crisi di una moneta tradizionale — l’euro, improvvisamente sottoposto a restrizioni nel caso dei suoi possessori ciprioti — avesse fatto scoprire le potenzialità di una moneta di tipo nuovo. Bitcoin è più di una curiosità tecnologica, e non è solo un fenomeno finanziario. Di certo aumenta la schiera dei grossi investitori che vogliono essere della partita, convinti che sarà The Next Big Thing, un’altra rivoluzione della portata della New Economy. Tra gli altri, ci credono i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, i co-ideatori di Facebook resi celebri dal film “The Social Network” che ne ricostruì la lunga battaglia con Mark Zuckerberg. I due Winklevoss hanno presentato qui a New York una formale richiesta alle autorità di Borsa, per poter scambiare i Bitcoin come se fossero titoli. I gemelli hanno già pronto un progetto di Exchange-traded fund (Etf), una sorta di fondo d’investimento quotato in tempo reale, quindi molto liquido. Questo metterebbe i Bitcoin alla portata di tutti, grandi investitori o piccoli risparmiatori. L’originalità dei Bitcoin sta nel fatto che non esistono fisicamente, e soprattutto non hanno dietro una banca centrale. Vengono creati da reti di utihanno
lizzatori che risolvono complessi problemi matematici. I loro computer vengono chiamati “minatori”: una strizzatina d’occhio ai veri minatori della febbre dell’oro californiana (1848) ed anche al “big data mining”, la nuova frontiera tecnologica che estrae informazioni
da colossali giacimenti di dati in formato digitale. I Bitcoin hanno una quantità limite, non possono circolarne più di 21 milioni, e non è stata ancora raggiunta. E’ la prima volta che una moneta fittizia e privata riesce a funzionare con un codice software
che protegge contro i falsari, un sistema controllato “dal basso”, da una miriade di seguaci entusiasti. Esistono tanti precedenti di simil-monete, private o virtuali. Per esempio le carte di credito come mezzi di pagamento: tuttavia dietro ci sono le istituzioni finanziarie emittenti, a loro volta controllate dalle banche centrali. Qualcuno ha paragonato a una moneta le “miglia” delle compagnie aeree con cui si possono comprare diversi beni e servizi: l’uso tuttavia ha dei limiti. Più di recente, sia Facebook che Apple introdotto i loro “crediti” perilpagamento,all’internoperò dei propri spazi di vendita online. Un precedente più simile è quello della Liberty Reserve, moneta virtuale emessa in Costa Rica, i cui promotori sono incriminati dalla procura di New York per riciclaggio: un rischio ben presente anche ai fondatori di Bitcoin.
Quello che distingue Bitcoin da ogni altra quasi-moneta, oltre alla tecnologia molto avanzata, è la dimensione sociale, culturale e politica del fenomeno. Uno dei suoi “evangelisti”, Jonathan Mohan, ha dichiarato al Financial Times: «La Bitcoin Economy nasce al di fuori della coercizione degli Stati. Se usi un Bitcoin invece di usare un dollaro, hai la certezza che non stai finanziando una guerra, non stai uccidendo bambini da qualche parte del mondo». Il linguaggio è significativo. Una parte dei fan entusiasti di Bitcoin appartengono allo stesso mondo ultra-libertario che ha suddiviso le sue simpatie tra la destra anti-Stato di Ron Paul e il radicalismo di Occupy Wall Street. Rivoluzionari, ma anche desiderosi di creare ricchezza. Individualisti, delusi da tutte le ideologie, appartengono alla generazione “educata” crudelmente dalla grande crisi del 2008: hanno visto crollare i sistemi bancari e l’ideologia mercatista, non per questo hanno fiducia nello Stato, anzi. Nel suo primo “congresso” mondiale, che a maggio ha attirato 1.300 partecipanti a San Jose, nel cuore della Silicon Valley, sono emerse due anime in lotta tra loro per l’egemonia su questo movimento. E’ quel che accadde anche agli albori della prima New Economy: quando dallo stesso “brodo primordiale” di una cultura innovativa e trasgressiva, emersero hacker e pirati, e anche i futuri big del capitalismo mondiale come Bill Gates e Steve Jobs. Oggi una parte del mondo di Bitcoin si considera in guerra col sistema, un po’ come WikiLeaks o il “pentito” della National Security Agency, Edward Snowden. Uno di questi è Amir Taaki, che da Londra si è fatto il portavoce europeo di Bitcoin. Londra ha l’unica Borsa già attiva nei Bitcoin, Intersango. E’ la capitale dell’ala oltranzista. Taaki è uno che predica “l’inevitabile vocazione rivoluzionaria di Bitcoin”, e non disdegna affatto che la moneta digitale possa attirare l’economia sommersa, il commercio di droga, o l’evasione fiscale. Tutto ciò che può corrodere l’autorità statale gli sembra congeniale allo spirito della neomoneta, che lui vede come un’anti-moneta. Sulla stessa lunghezza d’onda ci sono personaggi come Erik Voorhees, fondatore delsitodigiocod’azzardoescommesse online, SatoshiDice, che si è trasferito a Panama per non avere problemi con la giustizia americana. Sul fronte degli “integrati”, oltreaigemelliWinklevoss,c’è Peter Vessenes che presiede a Seattle la Bitcoin Foundation. Per lui “avere delle regole non è negativo”. Che ci sia qualcuno che usa i Bitcoin per attività illecite, non lo turba (anche i dollari sono usati dai narcos), e tuttavia non è questo il mercato sul quale lui vuole puntare. Quelli come Vessenes e i Winklevoss, proprio come i Gates e Jobs di trent’anni fa, sono talmente convinti della potenzialità rivoluzionaria di Bitcoin, che pensano di poter conquistare l’establishment.
Trent’anni fa, chi avrebbe creduto che un giorno molte delle nostre transazioni — operazioni finanziarie o acquisti di beni e servizi, raccolta di informazioni o consumo di musica e spettacolo — sarebbero avvenute online? La Old Economy si è lasciata piegare senza quasi resistere: accadrà lo stesso al dollaro? Per ora Bitcoin è un fenomeno di nicchia, un giocattolo per addetti ai lavori. 30 milioni di dollari di transazioni al giorno sono poca cosa rispetto a quel che facciamo con le “vecchie” monete. Tra i detrattori, che considerano Bitcoin una mistificazione, ci sono economisti autorevoli come il premio Nobel Paul Krugman. Altri come Joe Weisenthal sono scettici per ragioni geostrategiche: «Il dollaro sarà forte finché ha dietro la potenza leader del mondo, la US Army, l’Fbi, la Cia, e tutte le autorità centrali o locali che vogliono le tue tasse in dollari». Ogni moneta, da quando abbiamo abbandonato il sistema aureo, è una moneta al tempo stesso fittizia e “fiduciaria”: tutto sta a capire quale sia la fonte della fiducia. Probabilmente il dollaro e l’euro non hanno gli anni contati. Per non sbagliare, però, alcuni grossi operatori preferiscono non essere esclusi dal business virtuale. Ci investe il venture capital della California, con nomi come Thiel’s Founder Fund e Union Square Ventures. Sta studiando la possibilità di offrire operazion in Bitcoin perfino la Western Union, celebre società specializzata nel trasferimento di fondi all’estero, che oggi ha un quasi-monopolio internazionale nelle rimesse degli emigrati.
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