by Sergio Segio | 15 Luglio 2013 16:49
NON SI VEDE, È ACCANTO A PALAZZO GIUSTINIANI, HA UNA PICCOLA PORTICINA MARRONE E UNA VETRATA DA CUI SI SCOPRE UNA BIBLIOTECA CON SALA LETTURA; senza accorgersene, molti tirano diritti a bere il miglior caffè del mondo nella piazza Sant’Eustachio giusto a lato. Eppure è un luogo prezioso, meglio, come dice il professor Giacomo Marramao, dal 1991 direttore scientifico della Fondazione Basso, un vero e proprio bene culturale da salvaguardare.
In esso sono conservati più di 100mila volumi e 5000 testate giornalistiche «defunte e accese». È racchiusa la storia del ‘700-‘800 con un prezioso fondo francese, tra cui la prima edizione dell’ Encyclopédie di d’Alembert, con manoscritti di quel periodo; e la storia tra ‘800 e ‘900 «chiunque volesse fare delle ricerche può realizzare un lavoro straordinario» sull’intero movimento operaio italiano ed europeo specie della Germania e il movimento socialista e anarchico in Italia; la storia costituzionale, la teoria dello stato della società e dei movimenti politici, «tutto materiale che non si trova da nessun parte se non alla Fondazione Basso».
«Nei nostri archivi e nella nostra biblioteca ospitiamo studiosi stranieri di primissima qualità, studiosi europei in particolare tedeschi, francesi, inglesi e spagnoli, ma anche americani. Se non ci rendiamo conto del valore di queste istituzioni, se non si provvede in tempi rapidi a un finanziamento-reinvestimento nella cultura, l’Italia sarà gravemente colpita in ciò che più ha di prezioso. Penso che queste istituzioni rischino seriamente di scomparire e con loro scompare una delle principali attrazioni a livello internazionale. L’Italia è nota non solo per le sue opere d’arte, ma anche per le sue grandi biblioteche. Alcune di esse specializzate nel settore della politica, della teoria sociale giuridica, della storia della storiografia; sono le biblioteche delle Fondazioni, della Basso, del Gramsci, dello Sturzo».
Ha rischiato di chiudere, il personale si è notevolmente ridotto, la sua principale custode che fungeva da segretaria generale, instaurava rapporti con altre istituzioni e curava e controllava la biblioteca e l’archivio, Lucia Zannino, è scomparsa da poco; chi ci lavora, lo fa solo per passione e a titolo gratuito.
Marramao crede che forse l’handicap della Fondazione Basso sia il non aver dietro un’area identitaria fortemente caratterizzata o un partito. «L’area cattolica sta dietro lo Sturzo, il Pd dietro il Gramsci, noi siamo una Fondazione indipendente e teniamo moltissimo alla nostra libertà, ma questo rischia di penalizzarci rispetto alle altre». La cosa più grave è che nella lista del Mibac (Ministero dei beni ambientali e culturali) vi sono fondazioni fai da te improvvisate, sorte per ragioni di clientela politica e che prendevano cifre piuttosto cospicue, senza avere veramente nulla. «Bisogna stabilire parametri obiettivi in base ai quali inserire fondazioni al livello di beni culturali, che abbiano delle biblioteche significative. Il loro numero nel corso degli anni ’80 è enormemente aumentato; è evidente che il sistema del finanziamento a pioggia non funziona. Non è colpa di nessuno se le fondazioni più rilevanti sono quelle riferibili alla tradizione democratica e se si vuole di tradizione della sinistra. La destra non può pretendere di avere finanziamenti secondo il sistema del manuale Cencelli. È da suicidio».
Da alcuni anni alla Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco (Istituto per gli studi della società contemporanea) per la ricerca storica, si è saldata la Fondazione Internazionale Lelio Basso per i diritti e la liberazione dei popoli (con il fondo del tribunale permanente dei popoli), diventata sezione internazionale. È un importantissimo appoggio al lavoro dei tribunali Russell «una delineazione di prospettiva di democrazia e di difesa dei diritti umani e dei popoli contro ogni forma di violazione, indipendentemente dalle logiche territoriali degli Stati. È uno dei fattori che hanno reso la Fondazione Basso molto famosa e stimata nel mondo insieme al suo patrimonio storico».
Alla Fondazione sono europeisti convinti; hanno puntato moltissimo sulla scommessa Europa, l’unica via di uscita per affrontare le grandi sfide del mondo globale. «Oggi non si parla del mondo – continua Marramao -: una volta i discorsi dei grandi politici italiani, soprattutto quelli della sinistra o socialisti o laici, erano rivolti prima al mondo, poi all’Europa infine all’Italia». Il mondo si sta organizzando per grandi aree macroeconomiche e strategico-politiche e se l’Europa non diventa un soggetto forte e unificato nel contesto di questa sfida, rischia di rimanere schiacciata.
«Vi è un deficit culturale della politica italiana che si manifesta nell’incapacità di inquadrare i nostri problemi nazionali all’interno del contesto globale. Una decadenza enorme rispetto alla cultura politica della prima repubblica, della quale non sono un nostalgico, ma ha prodotto leader e partiti che invece avevano tale capacità». «Manca ai politici quella che i greci chiamavano l’enkràteia, il governo di sé e il controllo degli effetti, perché, diceva Machiavielli, il politico deve non solo sapere agire, ma controllare anche gli effetti di quello che fa».
Quando si sente un cittadino urlare «Di voi filosofi ci fidiamo e dei politici no», vuol dire che c’è una crisi molto grave e molto seria della democrazia e questo fa paura; «le piazze sono piene per ascoltare i filosofi, non i politici». È un filosofo di confine Marramao, ha avuto rapporti stretti con gli scienziati sociologi, con i giuristi, gli economisti, i sociologi teorici della comunicazione; insegna alla Sapienza filosofia teoretica e filosofia politica: «il mio modo di fare filosofia è teoretico, legato alla ricostruzione concettuale, alla politica e all’ analisi della società e dei fenomeni del potere. Due ambiti che polarizzano i miei due interessi filosofici: la questione del tempo e la questione del potere». Ritiene fondamentale il ruolo della filosofia nella società, perché «a partire dalla modernità, dall’Illuminismo, la filosofia ha smesso di essere un esercizio per pochi iniziati e affiliati a una scuola di pensiero. La filosofia ha come oggetto cruciale del proprio lavoro l’analisi e l’interpretazione del proprio tempo, del proprio presente. La grande novità del mondo moderno a partire dal ‘700, dall’epoca della rivoluzione è concettualizzare il presente, il tentativo di comprendere attraverso i concetti il tempo. Marx non sarebbe comprensibile senza questa grande svolta del pensiero filosofico».
La Fondazione Basso nasce nel 1973 voluta dallo stesso Lelio Basso che ebbe sempre in mente «l’idea di un centro di studi politici, in cui si realizzasse questa saldatura fra politica e cultura troppo spesso nei fatti separate». Studioso e interprete di Marx (si laureò in legge con una tesi su La concezione della libertà in Marx) e Rosa Luxemburg, tra i primi collaboratori della rivista di Piero Gobetti Rivoluzione liberale, padre costituente dell’Italia repubblicana, segretario del Psi e del Psiup, sempre in difesa dei diritti di libertà dei cittadini e nel tribunale Russell per giudicare i crimini di guerra, egli credeva che con la Fondazione «potesse costituire un servizio utile a tutta la classe politica, quello di mettere a disposizione un centro di studi che fosse al tempo stesso luogo di studio e di formazione di giovani e, insieme, sede d’incontri, di dialogo, di discussione permanente, interpartitica e interdisciplinare tanto per i politici puri quanto per gli uomini di cultura e gli stessi professori universitari».
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