Kyenge: ora Maroni fermi i suoi Il leader la invita alla festa

by Sergio Segio | 31 Luglio 2013 6:39

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MILANO — La notte deve avere portato consiglio. Ancora lunedì sera dopo che i consiglieri leghisti di Cantù si erano rifiutati di ascoltarla e dopo che un assessore veneto del Carroccio l’aveva nuovamente accostata a una scimmia, Cécile Kyenge affermava: «Non è un problema mio, è il sintomo di un disagio che va ascoltato». Ieri mattina, però, la ministra dell’integrazione ha deciso un cambio netto di strategia e ha dettato la nuova linea: «Se Maroni non fermerà gli attacchi dei militanti della Lega nei miei confronti, non parteciperò sabato alla festa della Lega di Milano Marittima a cui sono stata invitata». Roberto Maroni, fino a ieri sera, aveva preferito glissare sul punto, limitandosi a dire «mi auguro che il ministro Kyenge accetti il nostro invito», ma è chiaro che ormai il caso è scoppiato. Il Carroccio, dal canto suo, non si fa mancare nulla in fatto di violazione del bon ton e ieri alla Camera è esploso il caso di Gianluca Buonanno: il deputato leghista ha infatti definito Sel «lobby di sodomiti» provocando l’immediato abbandono dell’aula da parte dei vendoliani e le proteste anche del M5S. Lo stesso leader di Sel, Nichi Vendola, in un tweet si scaglia contro il segretario leghista: «Caro Maroni, la misura è colma. È ora che fermi i tuoi rappresentanti, che da troppo tempo fanno dell’insulto e della volgarità la propria ragione di vita. Ormai è questo il programma politico della Lega…».

Gli insistiti gesti di insofferenza e gli insulti contro Kyenge nel frattempo hanno fatto il giro del mondo: ieri, su Europa, l’ex ministro svedese originaria del Burundi Nyamko Sabuni ha definito l’Italia «un Paese razzista», e lunedì anche la Cnn aveva dedicato un servizio al caso delle banane lanciate contro l’oculista prestata alla politica. Che stavolta si è stancata di porgere evangelicamente l’altra guancia. «La mia disponibilità al dialogo è sempre stata piena e convinta — ha dichiarato — e non rifuggo al confronto, nemmeno al più aspro ma nel pieno rispetto dell’altro. Perciò ritengo di poter mantenere il mio impegno a essere presente alla festa di Milano Marittima solo se fin da subito il segretario Maroni farà appello ai suoi militanti perché cessino gli attacchi alla mia persona. Attacchi che oltre la sottoscritta feriscono anche la coscienza civile del Paese».

Maroni, incalzato in proposito, gira piuttosto al largo dall’ultimatum: «La chiamerò per spiegarle la nostra posizione sullo ius soli, che riteniamo sbagliatissimo; noi la contrastiamo perché siamo convinti delle nostre idee, spero possa venire comunque alla festa». Ma con chi insiste chiedendo se interverrà sui militanti taglia corto: «Altre domande…?». Anche il resto del mondo leghista non si avventura in fughe in avanti. E se il governatore del Veneto Luca Zaia ribadisce la condanna di qualunque insulto, Gianluca Pini, il deputato organizzatore dell’incontro di Milano Marittima, reagisce così: «Mi sembra sia in corso un’esasperazione mediatica contro la Lega». Dal canto suo il segretario della Lombardia Matteo Salvini si esprime così: «Il ministero della Kyenge è inutile, ipocrita e costoso. Lei si ricorda di esistere solo quando è attaccata. Ignoriamola: questo governo istiga al razzismo». Se è davvero un invito a cessare gli insulti, lo si capirà nelle prossime ore ma alla sua maniera Mario Borghezio spazza via ogni ottimismo: «Gli sforzi di alcuni dirigenti leghisti di normalizzare i rapporti con la Kyenge sono lodevoli ma inutili. Lei pensi piuttosto a suo padre, che era poligamo». Condanna per l’episodio di Cantù e per gli insulti via Facebook dell’assessore veneto di Montagnana (da ieri indagato per ingiurie aggravate) sono arrivate dal Pd («Attacchi non degni» commenta Ermete Realacci), da Sel, da Scelta Civica. Nel Pdl il commento più abrasivo arriva da Giancarlo Galan, che oltre a solidarizzare col ministro aggiunge, riferendosi ai leghisti: «Mi domando se sia possibile cambiare l’Italia con questi… no, non si può, non sono adeguati».

Claudio Del Frate

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