by Sergio Segio | 3 Luglio 2013 7:26
ROMA — Paolo Cipriani e Massimo Tulli, direttore e vicedirettore generale dimissionari dello Ior, risponderanno della sistematica violazione delle norme antiriciclaggio da parte della Banca Vaticana tra il 2011 e il 2012. Un reato per il quale è prevista una condanna fino a 3 anni e di cui sarebbero prova almeno 13 operazioni bancarie per le quali il procuratore aggiunto Nello Rossi e i sostituti Stefano Pesci e Stefano Fava ritengono di aver raggiunto la prova dopo oltre un anno di inchiesta del nucleo di Polizia valutaria della Guardia di finanza.
L’accusa, che verrà formalizzata di qui ai prossimi giorni con la notifica ai due indagati dell’avviso di conclusione delle indagini, si accompagnerà alla richiesta di archiviazione della posizione dell’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, per il quale sarebbe provata non solo l’estraneità a quelle operazioni ma, in qualche modo, anche la sua impossibilità di far valere un potere decisionale che lo Ior aveva concentrato nelle mani dei soli direttore e vicedirettore generale.
Nelle 13 operazioni che vengono contestate, si contano i famosi 23 milioni di euro congelati sui conti di corrispondenza Ior del Credito Artigiano. Così come operazioni di minore entità ma identico “format” (gli importi complessivi si aggirerebbero in questo caso intorno a un milione di euro). Nonché il “gran rifiuto” della banca di affari Jp Morgan a proseguire nelle attività di corrispondenza a favore dello Ior dopo aver verificato l’ostinato e reiterato diniego da parte dell’Istituto di fornire anche solo informazioni essenziali sulla natura dei trasferimenti di valuta necessari a rispettare, quantomeno formalmente, le disposizioni antiriciclaggio riconosciute in sede europea.
La chiusura delle indagini anticipa una scontata richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura e un deposito atti che, “in chiaro” e ufficialmente, denuncerà lo Ior per ciò che è stato. Un paradiso off-shore “intra moenia” che solo sotto la spinta delle indagini penali ha convinto la Santa Sede ad avviare un processo di riforma che, tuttavia, un pezzo di Curia immaginava come uno di quei maquillage gattopardeschi per i quali tutto cambia affinché nulla cambi. E di cui, in qualche modo, Gotti Tedeschi è stata vittima eccellente (anche se non l’unica). Del resto, ne sono oggi ulteriore testimonianza le intercettazioni telefoniche depositate agli atti dell’ultimo capitolo dell’inchiesta Ior. L’affaire Scarano.
Ancora il 5 novembre dello scorso anno, il monsignore parlava infatti al telefono con Tulli del “Fondo anziani”, la cassa utilizzata per raccogliere le “beneficienze” degli amici armatori Paolo e Cesare D’Amico (i due, indagati per evasione fiscale, saranno interrogati oggi), per conto dei quali assicurava il rientro in Italia dei fondi extracontabili depositati all’estero. In Svizzera e — documentano ora le telefonate — anche a Montecarlo, da dove sarebbero dovuti inizialmente rientrare i 20 milioni poi indicati come disponibili in quel di Lugano.
Di più. In un siparietto telefonico del 22 agosto 2012, ancora il monsignore e il suo amico e consigliori Massimiliano Marcianò se la ridono dopo un’operazione di prelievo contante al torrione di Sant’Anna, la sede dello Ior, di cui dovrà beneficiare un dentista, tale Roberto Letta a cui il denaro deve essere consegnato. Ancora una volta, Tulli è stato avvisato da Scarano dell’operazione. E, ancora una volta, si è messo a disposizione.
Anche se, a quanto pare, con qualche apprensione. «Come è stato Tulli? Gentile? », chiede il monsignore al telefono. E Marcianò: «Sìì… Solo che tiene una fifa… Quello tiene proprio… tiene o’ peperoncino tiene… c’ha il tremolio c’ha…».
Già, Tulli “teneva o’ peperoncino”. “O tremolìo”. Ma non era l’unico. E ora che la sua testa e quella di Cipriani sono cadute, non è detto affatto che la resa dei conti si chiuda. Anzi. Potrebbe essere solo all’inizio.
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