Il potere delle spie

by Sergio Segio | 5 Luglio 2013 7:24

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LE RIVELAZIONI di Edward Snowden sulla massiccia estrazione di dati ad opera delle agenzie di spionaggio americane e britanniche dimostrano che la maggior parte delle fonti scandagliate appartengono a società private. Spesso l’intelligence si limita a sfruttare i cumuli di dati rivelatori di cui abbiamo autorizzato il trattamento da parte dei giganti commerciali del mondo della IT, in genere cliccando il tasto “acconsento” su un documento che ne illustra termini e condizioni giuridiche, peraltro mai letto. I dati che le nostre spie raccolgono direttamente, tramite agenti sotto copertura e simili, sono una minima percentuale di quelli raccolti elettronicamente da queste fonti a finalità commerciale. La conclusione è semplice: se il Grande Fratello dovesse ritornare nel ventunesimo secolo, lo farebbe sotto forma di partnership pubblico-privata.
La quasi totalità delle infrastrutture del mondo elettronicamente connesso ha finalità commerciali. Le nostre autostrade sono di proprietà pubblica, ma le autostrade digitali sono private. Così ad esempio l’agenzia di intelligence britannica Gchq di Cheltenham ha eseguito intercettazioni sui cavi in fibra ottica che attraversano la Gran Bretagna in base ad accordi stabiliti in segreto con le società che ne sono proprietarie.

Stando a quanto pubblicato dal Guardian e dal Washington Post, il programma Prism della Nsa si è garantito la cooperazione di Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Skype, YouTube e Apple. Tutte queste società sono interessate ad avere quante più informazioni possibile sulle persone che usano i loro prodotti — ma a fini propri, non per conto dello Stato. Il motivo accettabile per cui ci monitorano è fornirci migliori servizi. Apprezzo che Google mi proponga i risultati di ricerca più pertinenti alle mie finalità. Mi piacciono i pop-up dei libri consigliati di Amazon, perché spesso rappresentano validi suggerimenti.
Ma c’è anche un motivo più inquietante. Soprattutto quando non addebitano direttamente all’utente il servizio offerto, molte di queste società fanno soldi vendendoci ai pubblicitari. Quanto più sanno delle nostre abitudini, gusti e desideri privati, più sono in grado di proporci come obiettivo per la pubblicità personalizzata. Se cerchiamo, ad esempio, pantere rosa — subito spuntano i pop up di annunci pubblicitari sul tema.
Questo accumulo di informazioni personali private a fini commerciali è preoccupante in sé. Non bastano le rassicurazioni offerte da Facebook, Google ed altri all’insegna del “potete fidarvi di noi”. Dopo tutto ora salta fuori che hanno condiviso parte di quelle informazioni con le spie. In generale riconosco la loro buona fede, anche se è inquietante venire a sapere che il responsabile per la sicurezza di Facebook, Max Kelly, è passato alla Nsa.
Ho avuto sentore di tutto questo qualche anno fa, parlando con i vertici di Facebook e Twitter. Si mostrarono visibilmente imbarazzati quando la nostra conversazione si spostò sui cosiddetti “ordini Fisa”, ossia le richieste avanzate in base al Foreign Intelligence Surveillance Act di fornire alle agenzie di sicurezza Usa i dati raccolti riguardanti alcuni individui o gruppi. Storcendo la bocca mi hanno risposto che non erano autorizzati a fornirmi neppure una cifra approssimativa degli ordini Fisa ricevuti.
Parecchie delle società menzionate dal Guardian e dal Washington Post ora hanno protestato, sostenendo di non aver mai sentito parlare del programma Prims, ma hanno fornito i dati delle richieste ricevute nei sei mesi precedenti alla fine di maggio da parte delle autorità giudiziarie statunitensi, in massima parte relative a casi pertinenti al diritto penale più che ai Fisa. Così lo Zio Sam ha chiesto informazioni su utenti Microsoft (31—32.000), Facebook (18-19.000) e su account e dispositivi Apple (fino a 10.000). Tanti o pochi? Se si fa parte degli interessati, sono moltissimi. Yahoo! non fa mistero del proprio imbarazzo: «Come tutte le società, Yahoo! è impossibilitata legalmente a estrapolare i dati numerici delle richieste Fisa perché coperti da segreto; tuttavia esortiamo il governo federale a rivedere la sua posizione su questo punto».
Alcuni lettori si saranno chiesti come mai prima, parlando del ritorno del Grande Fratello, ho usato un ipotetico se. “Il Grande Fratello è già tornato”, diranno, “è nella Nsa, in Facebook, Google e Gchq”. Non esageriamo. È vero che la quantità e il livello di privacy delle informazioni sul mio e sul vostro conto di cui le spie e le società dispongono superano i sogni più erotici di un generale della Stasi. Ed è già un pericolo. Ma la Gran Bretagna e l’America non sono Stati totalitari. Siamo di fronte a una reale minaccia di violenze da parte di individui inafferrabili e radicalizzati, come hanno dimostrato per l’ennesima volta le bombe alla maratona di Boston e l’omicidio del soldato a Londra. Questa gente è più difficile da individuare di un arsenale nucleare sovietico.
Ma il governo britannico e quello americano non possono semplicemente affermare che il fine di mantenere la nostra sicurezza giustifica i mezzi. Non basta ripetere che ogni azione avviene a norma di legge — in particolare se le leggi utilizzate, come la britannica Regulation of Investigatory Powers Act, che regola il monitoraggio e l’intercettazione delle comunicazioni, sono elastici sbrindellati. È offensivo che i ministri ci prendano in giro trincerandosi dietro il no comment sulle questioni di intelligence.
Senza dire ai terroristi nulla più di quanto già non sappiano, il governo Usa potrebbe benissimo, ad esempio, consentire alle società di rivelare il numero degli ordini Fisa cui hanno dato seguito. Come ha ribadito il governo tedesco, dimostrandosi ammirevolmente sensibile alla privacy, il governo britannico deve, non solo ai suoi cittadini ma a tutti gli europei dei quali ha aspirato i metadati, un adeguato pronunciamento riguardo a Tempora, il programma di sorveglianza della Gchq, a quanto pare di dimensioni colossali.
Ci sono molti dettagli operativi che dobbiamo sempre necessariamente prendere per buoni, ma in democrazia spetta alla fine a noi, ai cittadini, fissare l’ago della bilancia tra sicurezza e privacy, sicurezza e libertà. A rischio sono le nostre vite e le nostre libertà, non solo ad opera del terrorismo, ma anche per via del massiccio saccheggio della nostra privacy in nome dell’antiterrorismo. Se le società dalle quali i governi oggi traggono la maggior parte dei dettagli della nostra vita privata vogliono dimostrare di stare ancora dalla parte dei buoni farebbero bene ad aderire anche a questa battaglia per la trasparenza. Un buon primo passo sarebbe offrire più trasparenza sui dati che queste stesse società raccolgono sul nostro conto. Il nostro “diritto all’informazione” non si applica ai governi.
www. timothygartonash. com (Traduzione di Emilia Benghi)

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