Il Pdl blocca le Camere, il Pd si spacca Risse e proteste. Un giorno di caos
ROMA — Dopo la decisione della Cassazione di anticipare al 30 luglio il processo Mediaset, in cui Silvio Berlusconi è imputato di frode fiscale, fuori e dentro il Parlamento è stata una giornata ad alta tensione che avrebbe anche potuto deragliare su un binario di non ritorno.
Invece, nel Pdl è prevalsa la linea meno barricadera — «Quella che provoca il minor danno possibile a Berlusconi», per dirla con le parole dell’ex sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo — e anche dal Pd (che si è spaccato, con i renziani decisi a non fare sconti al Cavaliere) è arrivata una «prova di responsabilità» con il voto favorevole alla richiesta del Pdl di sospendere i lavori parlamentari per un giorno. Ne hanno approfittato i parlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno gridato al golpe e hanno inscenato plateali proteste alla Camera: i deputati grillini si sono seduti sotto il sole sul selciato di piazza Montecitorio mentre i senatori hanno sfilato in aula giacche e cravatte. Così, nella giornata della visita al Quirinale di Grillo e Casaleggio, il M5S ha ritrovato il suo palcoscenico ideale. Quello della lotta senza quartiere al sistema dei «vecchi partiti».
I falchi del Pdl, guidati da Daniela Santanchè, hanno fatto di tutto perché si arrivasse alla rottura. E all’inizio, le premesse per uno scontro duro c’erano tutte perché il capogruppo Renato Brunetta (Pdl) aveva annunciato tre giorni di blocco del Parlamento chiarendo che il suo partito avrebbe disertato il vertice di maggioranza (poi giudiziosamente sconvocato). Insomma, la burrascosa riunione notturna del gruppo della Camera del Pdl aveva lasciato il segno. Ma poi nelle due conferenze dei capigruppo, susseguitesi alla Camera e al Senato, il Pd ha detto chiaro e tondo che non avrebbe favorito strappi e colpi di mano sul Parlamento: «La richiesta di sospendere i lavori del Parlamento per tre giorni, a seguito delle decisioni della Corte di Cassazione, costituisce un atto irresponsabile e inaccettabile, che finisce per legare campi che vanno rigorosamente tenuti distinti, quello giudiziario e quello parlamentare», è stata dunque la diga tirata su dal segretario del Pd Guglielmo Epifani. Così, con il passare delle ore le richieste del Pdl si sono ridimensionate. E dopo un segnale di fumo negativo proveniente da Milano, dove Bobo Maroni (Lega) aveva manifestato la sua contrarietà alle forzature, il Pdl ha chiesto di interrompere i lavori parlamentari per un solo giorno: un breve stop, poi ridotto a un pomeriggio, per consentire il dibattito interno al partito sull’accelerazione imposta dalla Cassazione preoccupata che il processo Mediaset finisca, seppure parzialmente, prescritto.
A quel punto (visto che alla capigruppo Sel e M5S avevano fatto mancare il loro appoggio) la proposta di sospensione è stata messa ai voti. Prima al Senato e poi alla Camera. A Montecitorio, quando Ettore Rosato (Pd) ha annunciato il voto favorevole del suo partito si è scatenato un putiferio tra i banchi dei grillini che hanno rumorosamente abbandonato l’aula (seduta sospesa dal presidente Laura Boldrini) per trasferirsi in massa in piazza Montecitorio. E imitare così i colleghi senatori che un paio di ore prima, sotto lo sguardo attonito del presidente Pietro Grasso, si erano sfilati giacche e cravatte in aula. Il voto di Pd e Pdl ha comunque bloccato sull’orlo del precipizio le quotazioni della maggioranza delle larghe intese.
È stato quello il momento della giornata in cui si è mossa Rosy Bindi: «Non ho votato». Seguita dalla squadra di Renzi che, evidentemente, non ha gradito la mano tesa offerta al partito del Cavaliere legittimamente impegnato con un drammatico dibattito interno: «La gestione del voto sulla sospensione da parte della dirigenza del gruppo Pd della Camera è stata incomprensibile, nessuno è stato informato, nessuno ha capito cosa è successo», hanno dichiarato alcuni deputati guidati da Michele Anzaldi. Ma la cifra della giornata sta tutta nello sguardo smarrito dei parlamentari del Pdl che considerano la sentenza Mediaset (mancano appena 19 giorni) come una bomba ad orologeria messa sotto le loro sedie. E sempre per usare la cautela dell’ex magistrato Giacomo Caliendo, per aiutare Berlusconi più che di spada ora bisogna tirare di fioretto.
Dino Martirano
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