IL MINISTRO RISCHIA IL GOVERNO PURE
Si tratta di un tentativo trasversale che sceglie di volta in volta obiettivi e pretesti diversi. Può essere il conflitto tra Silvio Berlusconi e la Procura di Milano; o lo scontro sulle regole del congresso del Pd; o sull’acquisto degli aerei militari F35. Ora c’è il caso di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov, rimpatriata con la figlia di sei anni con l’aiuto controverso del Viminale. E non potrà non approdare in Parlamento. Anzi, prima ci arriva e meglio sarà. Le procedure seguite appaiono a dir poco discutibili. E infatti il ministro dell’Interno, Angelino Alfano e, in parte, quello degli Esteri, Emma Bonino, sono sulla graticola.
Il problema è se il pasticcio del rimpatrio sia il frutto di una strategia segreta, accompagnata passo passo dai vertici; oppure se le «responsabilità politiche» evocate dall’opposizione nascano da passaggi inquietanti per la confusione e la sottovalutazione che rivelano. Oggi dovrebbe arrivare la relazione «tecnica» di Alessandro Pansa, il nuovo capo della Polizia. Le implicazioni più delicate, tuttavia, sono politiche. Che il bersaglio sia Alfano, è chiaro dall’inizio. Oltre che ministro dell’Interno, è vicepremier. E sia nella sinistra antigovernativa, sia in quei settori del Pdl che inseguono una crisi di governo, lo si vuole abbattere per far crollare tutto.
Per questo il centrodestra lo difende, al di là del merito da accertare. Pur temendo la sentenza della Corte di cassazione del 30 luglio prossimo che lo riguarda, Berlusconi non vuole strappi. L’incognita è se la maggioranza anomala di Letta sopravviverà anche a una vicenda così delicata. Con una certa dose di candore, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, continua a prevedere una vita breve per il governo. «Non credo che l’accordo col Pdl possa andare avanti molto», ha sostenuto anche ieri. «Voglio bene a Letta, ma tutti i giorni deve parlare con Brunetta e Schifani».
In effetti, il movimento di Beppe Grillo e il Sel di Nichi Vendola si alleano presentando una mozione di sfiducia individuale contro il titolare del Viminale. E il capo leghista, Roberto Maroni, cerca di riemergere dalle gaffe razziste del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, sostenendo che gli attacchi al Carroccio sono un diversivo della maggioranza per uscire dall’imbarazzo kazako. Eppure, la filiera avversaria è così scoperta che perfino una questione spinosa come quella del rimpatrio illegale della moglie e della figlia di un dissidente ha effetti contraddittori: può destabilizzare ma anche compattare un esecutivo troppo debole per permettersi le dimissioni di ministri-chiave.
Per paradosso, la mozione di Movimento 5 Stelle e Sel finirà probabilmente per puntellare il governo. L’incognita del «fuoco amico», che ha interesse a affondarlo, in realtà è teorica: sia perché aprirebbe scenari così pericolosi da apparire un azzardo che nessuno si può permettere; sia perché sembra che non ci sarà il voto segreto chiesto dall’estrema sinistra nella speranza di armare i franchi tiratori. Ma, dimissioni o no, il governo rischia di subire un ulteriore indebolimento. Il modo liquidatorio in cui la Lega ha lasciato cadere l’appello di Letta a chiudere «al più presto» la pagina buia degli insulti di Calderoli al ministro italo-africano per le Pari opportunità, Cécile Kyenge, non è solo il riflesso del razzismo del Carroccio: è anche la conferma che molti, troppi si muovono pensando solo alle elezioni.
Massimo Franco
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