by Sergio Segio | 18 Luglio 2013 8:16
DUE telefonate hanno evitato per il momento l’esplosione del Pd e del governo di larghe intese.
LETTA ha chiamato Renzi da Londra e il loro è stato un dialogo di fuoco. Giorgio Napolitano invece ha spiegato a Guglielmo Epifani le conseguenze di un irrigidimento del Pd. Ma per una volta, a Largo del Nazareno, sono tutti d’accordo con il parallelo del sindaco di Firenze: «È come la storia di Ruby nipote di Mubarak. Al Parlamento è stata raccontata una gigantesca bugia». Così al leader democratico la segreteria ha dato il mandato, condiviso da tutte le correnti, di usare le prossime 24 ore prima del voto sulla mozione di sfiducia contro Angelino Alfano per convincere Letta a far dimettere il ministro dell’Interno. «C’è ancora tempo per rimediare all’assurda espulsione di Alma Shalabayeva».
Naturalmente, non succederà niente di tutto questo. Perché il premier «ci ha messo il petto », come dice il capogruppo alla Camera Roberto Speranza: «A questo punto dovremmo chiedere le dimissioni di Enrico, non solo quelle del segretario del Pdl». E perché Napolitano ha aperto lo scudo stellare per proteggere l’esecutivo. «Non possiamo toccare nemmeno una casella», ha spiegato a Epifani. Come dire: datevi una bella calmata. Oggi la posizione del capo dello Stato sarà ancora più chiara quando parlerà alla stampa durante la Cerimonia del Ventaglio, tradizionale appuntamento di saluti con i giornalisti prima dell’estate. «Sarebbe giusto che Alfano lasciasse. Ma non può farlo perché il governo deve rimanere in piedi», è stato il riassunto della giornata fatto da Epifani in una riunione di segreteria che ha messo a nudo l’impazzimento del Pd.
Primum vivere deinde philosophari,diceva Bettino Craxi citando i classici. «Ma è vero il contrario: il governo diventerà un morto che cammina proprio se Alfano non si dimette », ribatte Anna Finocchiaro. Non è la sola a pensarla in questo modo.
Il chiarimento telefonico da Londra tra Letta e Renzi è stato molto movimentato. «Mentre io sto qui a predicare la stabilità per avere qualche investimento straniero, i tuoi sparano a zero sul governo. Siete degli irresponsabili, lo capisci? Non potete giocare con la pelle del Paese». Renzi ha risposto per le rime sostenendo che il ministro è indifendibile, che il governo rischia se perde di credibilità, che il centralismo democratico è un’eredità del passato e non deve avere cittadinanza nel Pd.
Il dissenso renziano è lentamente rientrato. Ma il sindaco ieri ha segnato un punto a suo favore nella battaglia interna.
Adesso la resistenza di Alfano mette tutto il Partito democratico in uno stato d’animo negativo verso il governo delle larghe intese. Aumenta l’insofferenza nel popolo democratico e nel gruppo dirigente. «Io sono il candidato di sinistra e mi faccio scavalcare da Renzi nella vicenda kazaka? Ma che siamo diventati matti?». Lo sfogo di Gianni Cuperlo spiega molto. «Io chiedo le dimissioni di Alfano. Devo farlo». «La nostra gente vuole le dimissioni, Enrico — ha insistito Epifani in una delle molte telefonate con il premier —. Se non facciamo una mossa, lasciamo il campo aperto a Renzi. Dobbiamo tenere una linea che sia comprensibile dai nostri».
Letta è stato obbligato a reagire: non bastava più la relazione del capo della Polizia Alessandro Pansa, non era sufficiente la strada della massima trasparenza. Ci voleva un’assunzione di responsabilità in prima persona. «Al Senato parlo io. Se volete colpire Alfano, dovete colpire anche me», ha fatto sapere a Roma. Parole che hanno fatto rientrare la rivolta di Renzi e convinto Epifani a frenare la fronda del partito. Ma la partita non è finita.
Ora il Pd ha davvero paura di morire di «realismo». O peggio, di «ragion di Stato». Con il non detto di una paura ancora maggiore: consegnare il partito al sindaco di Firenze sulle macerie dell’alleanza con Berlusconi. Senza alcuna possibilità di difesa. Per questo, la lotta interna si alimenta del caso Shalabayeva. Lo scontro in segreteria ha avuto momenti molto tesi. Il bersaniano Davide Zoggia ha puntato il dito contro il renziano Luca Lotti: «Tu non sai nemmeno cos’è il centralismo democratico». «E tu non sai cos’è la democrazia, mi pare più grave», è stata la replica. Il grande terrore degli anti-Renzi è finire schiacciati sulla Grande coalizione, non aver alcun margine di manovra nel percorso congressuale. «O stiamo tutti dalla parte del governo o non ci sta nessuno», spiega Alfredo D’Attorre, bersaniano. «Basta con gli smarcamenti continui dei renziani. Bisogna convocare subito una direzione e mettere le carte in tavola». È un grido di dolore che colpisce solo in parte il sindaco. Alla fine può mettere in difficoltà il governo Letta, tanto più se Alfano resiste al Viminale. Le larghe intese rappresentano ormai una zavorra per tutte le correnti del Pd. Il chiarimento perciò può diventare un boomerang per i “governisti”. E troppi momenti di confronto sono esplosivi. Lo è già oggi l’assemblea dei senatori alla vigilia del voto sulla mozione. Figuriamoci la direzione. Che è un antipasto del congresso e può trasformarsi in una resa dei conti sul governo.
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