IL D-DAY DI BERGOGLIO

by Sergio Segio | 29 Luglio 2013 4:51

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 TRE milioni di giovani di tutte le nazionalità per due giorni hanno sfrattato dai quattro chilometri della più famosa spiaggia del mondo giocatori di pallone, turisti, abbronzature, tanga microscopici (ma non i garotos da rua, bambini di strada che hanno continuato a tuffarsi nel surf mentre si recitava la liturgia della Messa) per ascoltarlo dire quello che la Chiesa Romana ha spesso dimenticato di dire: che non ci può essere «pacificazione» nella miseria e nell’ingiustizia. Parole che dagli anni della «Teologia della Liberazione» e dai vescovi contro come Helder Camara, non suonavano con tanta forza.
Gli obbiettivi delle telecamere e le parole dei telecronisti non riuscivano a rendere giustizia alla immensità di un popolo che si estendeva sulla spiaggia santuario del «sogno brasiliano» sotto l’ombra del Pan di Zucchero e i paragoni con altre manifestazioni di massa e concerti suonavano, più che involontariamente blasfemi, un po’ stonati. Papa Francesco ha distrutto il ricordo di Mick Jagger e degli Stones, che raccolsero «soltanto» un milione e mezzo di fan, di Lenny Kravitz, di Rod Stewart, che pure affollò quasi tre milioni sulla spiaggia. Ha ridimensionato le cifre di altre Giornate della Gioventù guidate dal predecessore Benedetto XVI, come il milione a Madrid per la Veglia del 2011. Si deve tornare a Giovanni Paolo II e al suo carisma di pellegrino pontificale per trovare una folla più grande, i cinque milioni — record riconosciuto da Guinness — raccolti nel Parco de la Luneta a Manila, nel 1995.
Ma se il messaggio del Papa argentino, come ieri di quello polacco, pur nel successo popolare, comprese le suore che a Rio danzavano, castamente, il samba al passaggio dei furgoni Fiat di Bergoglio, non si discosta molto dai principi dottrinali, almeno per ora, da Ratzinger, ancora una volta è il messaggero a fare il messaggio. A rendere credibili le esortazioni a «lasciare le sacrestie e andare per le strade», a «parlare il linguaggio che la gente capisce fuori dalle formule liturgiche e teologiche». Forse Ratzinger, dal suo appartamento monacanale in Vaticano, avrà scosso la testa vedendo le dirette da Copacabana, lui che aveva invitato severamente a «non scambiare queste giornate di preghiera per un festival Rock», ma a guardarle come «il punto di arrivo di un percorso di pentimento e di meditazione », ma nessun predica può cambiare la sensazione che in Bergoglio finalmente messaggio e messaggero coincidano.
In Brasile, come nel resto dell’America Latina, nell’Asia insulare, in quel poco che sopravvive nell’Asia Continentale, la Chiesa Cattolica Romana gioca il proprio futuro di chiesa universale e un gesuita sudamericano lo sa meglio di pastori europei o italiani. I tre milioni di persone accalcati nella spiaggia di Copacabana non erano certamente tutti devoti chierichetti di Santa Madre Chiesa.
Nel corpo inquieto della spiritualità brasiliana, sempre agitata da quella pulsione al sincretismo religioso, mistico e pagano, che i Gesuiti cercarono invano di incoraggiare e assorbire per lo scandalo e la collera della Gerarchia romana, milioni di persone flottano, come le maree.
Si muovono fra il Cattolicesimo, la religione portata dal colonialismo, che ha perso il 10 per cento degli aderenti, e le confessioni protestanti, più concretamente attive e utili nelle favelas e meglio finanziate anche dagli Stati Uniti, ironicamente prodotto dell’imperialismo. Ma sempre galleggiando sul filo del «povo do santos», il popolo dei santi, i devoti della santeria, o macumba, o vodùn, o come si voglia definire quell’eredità africana che sta, come l’intreccio di geni e cromosomi, tessuto dentro ogni cittadino.
Come Woytila a Cuba, nel 1998, che preferì ignorare la doppia devozione dei cubani e il doppio uso di tante chiese fra cattolicesimo e santeria, così Bergoglio non ha fatto lezioni di catechismo, ai milioni accorsi per la sua Woodstock- on-the-beach, resa anche più simile all’originale dal pessimo tempo della vigilia a Rio all’adunata di quei 500 mila giovani che vollero trovarsi insieme per trovare se stessi. È stata una festa di umanità, non di catechismo, che neppure la solita, blanda, melensa «christian music » dopo le funzioni è riuscita a sedare e spegnere. «Se concerto rock era, si trattava più di Simon & Garfunkel al Central Park che di Lenny Kravitz» ha scritto acidulo un commentatore della Cnn, anche se un po’ più di ritmo e di mordente le nenie religiose potrebbero utilmente acquistare.
Il «D-Day» di Bergoglio sbarcato sulle sponde del Brasile non è stato un trionfo perchè Francesco sia un Papa santo, un Papa rivoluzionario, un Papa contestatore. Ma perché è un Papa credibile, che sembra, addirittura, credere al Libro che invoca nella «alègria» e sorride mentre i bambini si tuffano nelle onde senza ascoltarlo. Lasciate che i bambini giochino sulla spiaggia.

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