I misteri del generale che ha sedotto la piazza con il suo carisma soft
IL CAIRO — Tra i mille e uno misteri del Nuovo Egitto, c’è certo la rapidità con cui il generale Abdel Fattah Al Sisi si sia trasformato da «nemico del popolo» a eroe delle piazze anti-Morsi. E come Mohammad ElBaradei, l’ex capo dell’Agenzia atomica Onu, sia passato da essere considerato uno «straniero» lontano dalla cultura dell’Egitto dove è nato ma ha poco vissuto, a figura chiave del Fronte 30 giugno dell’opposizione e con ogni probabilità della storia politica nell’imminente futuro. Due uomini che hanno svolto ruoli fondamentali nei convulsi avvenimenti di questi giorni. Che si sono conosciuti relativamente da poco, molto diversi tra loro, ma che secondo varie fonti ora «si accettano e si stimano». La prova sono i fatti in corso .
Sconosciuto ai più fino all’agosto scorso, quando l’ormai ex raìs Morsi lo nominò a capo del Consiglio delle Forze armate (Scaf) dopo aver rimosso l’anziano Tantawi, il generale nato al Cairo nel 1954 era stato visto all’inizio come troppo vicino ai Fratelli, e per questo da loro insediato al vertice militare. Non solo fervente musulmano, ma con una moglie con velo integrale, scrivevano i media egiziani. Cosa vera la prima, non confermata la seconda. Poco era piaciuto poi che Al Sisi avesse difeso nell’aprile 2012 gli infami «test di verginità» imposti dai soldati che avevano arrestato (e picchiato) un gruppo di dimostranti donne a Tahrir. «Lo hanno fatto per proteggere le ragazze da stupri e i militari da denunce di stupro», disse allora, sollevando un giusto putiferio. Qualche mese dopo però si impegnò a vietarli. Ma soprattutto, una volta capo dello Scaf, Al Sisi è riuscito a risollevare il morale dell’esercito, la sua efficienza e l’immagine presso la gente.
«È finalmente un militare moderno, non ha combattuto in battaglia come la vecchia guardia da Mubarak a Tantawi, ma è professionale, pragmatico, paziente e ha un grande carisma», dice Mohammad Kadri Said, esperto militare del Centro studi Al Ahram e lui stesso un ex generale. «Come capo dell’intelligence militare conosce politicamente la società, trattare in queste settimane con i giovani ribelli e l’opposizione non gli è stato difficile. E anche con gli americani, che conosce bene per aver passato lungo tempo in America, ha rapporti molto stretti e produttivi, ha compensato le difficoltà della presidenza Morsi». Tra l’altro, aggiunge Said, è «certo abbastanza accorto da non volere il potere politico per sé, almeno nelle apparenze» .
A differenza di Tantawi, che per 16 mesi resse il Paese dopo Mubarak, Al Sisi vuole infatti dare spazio a figure civili. E ElBaradei è una di queste. Il premio Nobel è stato in realtà scelto due giorni fa dal Fronte dell’opposizione come suo solo rappresentante nei negoziati per la transizione. Eppure, quando nel 2010 tornò al Cairo per fondare il suo fronte nazionale per il cambiamento, gli oppositori di Mubarak non lo accolsero bene. Foto sue con bicchieri di vino, della figlia in bikini, circolavano come prova che fosse ormai troppo lontano dal suo Paese. E poi la sua fobia per i luoghi affollati (Tahrir), le difficoltà di parlare alla gente e come la gente (un consigliere lo implorò di usare ogni tanto la parola «inshallah»), l’appellativo di «twitter-man» per il suo preferire le comunicazioni elettroniche. Però ElBaradei ha poi fatto molte scelte giuste: non si è «bruciato» nella lotta interna all’opposizione alle presidenziali del 2011, anzi le ha seguite dall’estero. E una volta tornato ha lavorato bene e con tutti. Con i leader anti-Morsi, con gli americani, con Al Sisi. Ha già detto che nemmeno questa volta correrà per la presidenza, ma nella transizione (che non sarà breve) tutti pensano che avrà un ruolo chiave .
Cecilia Zecchinelli
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