Governo blindato e partiti avvertiti La linea dura di Napolitano

by Sergio Segio | 19 Luglio 2013 6:47

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ROMA — Una blindatura forte. Costruita saldando insieme, in una chiave funzionale a preservare la vita del governo, le questioni che tengono l’Italia sotto stress e che raccomanda siano risolte «con senso di responsabilità» e, almeno stavolta, senza l’eterna tentazione di dividersi. Vale a dire i complessi problemi dell’economia, gli intermittenti conflitti tra poteri dello Stato (in primis lo scontro sulla giustizia), le tensioni dentro la maggioranza, gli interrogativi sul nostro ruolo nell’Ue, il pasticcio kazako. Un groviglio di nodi che Giorgio Napolitano affronta uno per uno, indicandoli all’attenzione dei partiti, prima di lanciare un avvertimento: «Non ci si avventuri a creare vuoti o a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica post-elettorale ha reso obbligato e per un’ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze cui si esporrebbe il Paese».

Per lui, insomma, «è indispensabile, nell’interesse generale, proseguire nella realizzazione degli impegni del governo Letta sul piano della politica economica, finanziaria, sociale, dell’iniziativa europea e, insieme, del “cronoprogramma” di 18 mesi per le riforme istituzionali». Sfide da vincere tutti insieme sapendo quanto è grande il rischio di un’eventuale sconfitta. Infatti, aggiunge con una domanda retorica, «si può mettere a repentaglio la continuità di questo governo senza offrire pesanti ragioni ai più malevoli e anche interessati critici e detrattori del nostro Paese, pronti a proclamare l’ingovernabilità e l’inaffidabilità dell’Italia?» E risponde secco, a futura memoria: «I contraccolpi a nostro danno, nelle relazioni internazionali e nei mercati finanziari, si vedrebbero subito e potrebbero risultare irrecuperabili».

Ecco il punto politico intorno al quale il capo dello Stato ha strutturato il suo bilancio di metà anno (un periodo «tra i più intensi e inquieti della nostra storia politica e istituzionale»), pronunciato ieri durante la cerimonia di consegna del Ventaglio da parte della stampa parlamentare. Al primo posto «dell’attenzione collettiva», e lo rimarca con particolare energia, dev’essere ancora «la criticità delle condizioni economiche e sociali, la serietà delle incognite con cui ci confrontiamo». La battaglia, per lui, è dunque anzitutto su questo fronte di crisi. Che è certo «grave», ma va affrontata «senza catastrofismi». Del resto, ricorda Napolitano, fu proprio questa «la premessa» in base alla quale nacque l’accordo delle larghe intese. Perché si trattava di «dare al Paese un governo, di non lasciarlo scivolare verso convulsioni destabilizzanti, nell’impotenza perfino di aver voce nel decisivo concerto europeo».

E il governo Letta, dal suo angolo visuale, ha davvero fatto sentire la voce dell’Italia: constatazione che, insiste, «non si può seriamente negare». Di più. Quando il neo-premier ha affermato che «non intende governare a ogni costo» (ossia «a costo di subire freni e interferenze che ne blocchino la produttività e gli sforzi»), ha offerto una garanzia importante per tutti. Ora, davanti all’affanno dell’economia, con il pericolo che una mancata ripresa faccia sviluppare schiumanti effetti di rabbia sociale, servono azioni concrete, riforme accompagnate da «ampio consenso parlamentare», provvedimenti per l’occupazione. In definitiva, serve una svolta urgente in grado di ristabilire il circuito della «fiducia». Questo il suo piano di lavoro, che va oltre un semplice wishful thinking. Una visione che «potrebbe invece peggiorare, anche bruscamente, dinanzi a una nuova destabilizzazione del quadro politico».

Di qui il suo doppio messaggio ai due maggiori partiti dell’alleanza che, tra continue fibrillazioni, sorregge Letta. Al Pdl, sempre sull’orlo di una crisi emotiva, chiede di «sgombrare il terreno da sovrapposizioni improprie, come quella tra vicende giudiziarie dell’onorevole Berlusconi e prospettive di vita dell’attuale governo… Dovrebbe riconoscersi che è interesse comune affidarsi con rispetto — senza pressioni né in un senso né nell’altro — alle decisioni della Corte di Cassazione, e affidarsi correttamente — chi ha da difendersi — all’esercizio dei diritti e delle ragioni della difesa».

Il secondo messaggio è indirizzato al Pd, in pesantissima sofferenza interna sull’affaire Shalabayeva. Il presidente ammette che l’intera vicenda è «inaudita», tuttavia assolve il governo osservando come «anche (ma non solo) per dei ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità “oggettive”, “consustanziali” alla carica che si ricopre». Riferimento che mira dritto alle recriminazioni espresse da Matteo Renzi e da una buona quota del partito, i quali intendevano sfiduciare in aula Angelino Alfano. Ora, avallare quella lettura dei fatti equivarrebbe a contraddire non soltanto il premier, che la esclude, ma lo stesso Napolitano. Per il quale, posto che va «sgombrato il campo da gravi motivi d’imbarazzo e discredito per lo Stato», l’esecutivo «ha opportunamente deciso» di sanzionare i comportamenti di alcuni funzionari. Che pure lui addita come responsabili di aver «assunto decisioni non sottoposte al necessario vaglio dell’autorità politica e non fondate su verifiche e valutazioni rigorose».

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