Gli schedati

by Sergio Segio | 21 Luglio 2013 9:12

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Un caso eccellente di zelo poliziesco puro è il modo in cui dal 1941 al 1944 la polizia francese rastrellò migliaia di ebrei nella Parigi occupata. Uno stuolo di ispettori di polizia in borghese pattugliava sistematicamente stazioni dei treni e del metrò a caccia di «ebrei e stranieri non terroristi» da consegnare ai tedeschi. Li scovava grazie ad un censimento introdotto negli anni ’30 basato su schede segnaletiche a “caselle multiple”, la cui “scientificità” aveva suscitato l’ammirazione della Gestapo. Così ad esempio finì ad Auschwitz la scrittrice Irène Némirovsky.
Quel sistema di schedatura si fondava sul modello inventato a fine ‘800 da Alphonse Bertillon e poi adottato praticamente in tutti gli altri paesi (democratici e non). Con le sue complicatissime e minuziose misurazioni «antropometriche» di ogni caratteristica morfologica (dall’iride alla forma delle dita, ai tatuaggi oltre che ovviamente al colore della pelle), accompagnata da foto, il metodo del «
portrait parlé», il “ritratto parlante” che Bertillon passò una vita a perfezionare, prometteva
di «identificare nel giro di 20 secondi» qualsiasi malfattore. Edgar J.Hoover, che introdusse la schedatura negli Stati uniti, lo considerava il padre assoluto della nuova scienza, anche se, curiosamente, Bertillon diffidò fino alla fine delle impronte digitali, antenate del profiling mediante il Dna, preferendogli una caterva di altre caratteristiche che a suo giudizio fornivano la prova inequivocabile di attitudine e recidività criminali. Ancora oggi il francese è considerato il padre di tutte le forme moderne di identificazione personale, dagli schedari dell’Interpol o dei Servizi alle comuni carte di identità. La mostra che si inaugura il 25 luglio non a caso alla Cayenna francese (l’inferno penale da cui riuscì ad evadere Mc-Queen-Papillon), proprio in coincidenza col centosessantesimo della nascita di Bertillon, è un’impressionante antologia visiva della schedatura, a quasi tutte le latitudini. Da quella particolarmente oscena dei campi di sterminio nazisti che consisteva nel tatuare un numero sull’avambraccio (preceduto dalla J di Juden per gli ebrei, dalla Zeta di Zigeuner per gli zingari e dalla A per gli ariani), alle schede dei forzati del gulag staliniano. La burocrazia nazista era forse più efficiente, ma in entrambi i casi c’è accanimento sui dettagli di identificazione, comprese note caratteristiche e fotografie. Fanatici della schedatura fotografica erano anche i Khmer Rossi. Le sessioni di “posa” iniziavano all’una del mattino e proseguivano per tutta la giornata. Così abbiamo le foto dei quindicimila internati nell’ex liceo francese di Phnom Penh (ne sopravvissero solo otto). Non ci sono invece foto dalla Cina: probabilmente perché tuttora segreto di Stato. Ci sono invece le foto segnaletiche degli indios Yanomami del Brasile, schedati per poterne seguire le condizioni sanitarie, unico caso in cui numeri e foto servivano a salvarli anziché ad ammazzarli.
Un’analoga mostra sulle schede dei forzati della Guyana (curata significativamente da Michel Philippot, che è il biografo della Némirovsky) s’era tenuta in maggio al Festival Image Singulières a Chais des Moulins. E l’anno scorso gli Archives nationales avevano già allestito a Fontainbleau, presso Parigi, una bellissima esposizione, curata da Pierre Piazza, uno dei massimi esperti sul tema, sulla storia dell’identificazione dei cittadini, sulla nascita delle carte d’identità e delle schedature poliziesche (“Fichés. Photographie et identification du Second Empire aux années 1960”).
In comune, tutti gli eredi di Bertillon hanno l’ossessione di schedare e classificare i «cattivi elementi» per poter dare sicurezza ai «buoni cittadini ». I cattivi, i criminali in potenza sono in genere gli «stranieri» (o quelli comunque «diversi»). Sin dal Medioevo i principali sospetti erano i vagabondi, e i «cattivi poveri» che turbavano i «buoni poveri». Poi l’attenzione si concentrò su criminali e prostitute. L’America ha invece tradizionalmente preferito schedare gli evasori fiscali (ancora oggi non è generalizzata la carta d’identità, l’identificazione principale resta il codice della social security, oppure il credit record).
Nel caso della Francia, sin dai tempi di Bertillon gli schedati erano gli immigrati. Quelli provenienti dalle colonie in primis, poi quelli in fuga dalle persecuzioni e dalle turbolenze all’Est. Poi furono gli zingari, infine gli ebrei, ultimamente gli islamici. Per lunghissimo tempo a incarnare invece la minaccia più squisitamente politica furono gli anarchici, poi si passò ai comunisti, oggi a coloro che spifferano segreti. Quanto agli orrori prodotti dallo zelo, la stupidità pare universale.

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