Getta la spugna Juncker il premier da Guinness

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BRUXELLES — Tre o quattro predilette banane sul bordo della scrivania, in un ufficio da commercialista di provincia. E quelle battutine allo zenzero, che fecero dire a un suo amico-nemico: «Ma sì, Juncker ha due difetti terribili: ha un’opinione, e la esprime anche».

Ma ieri non sono bastate le sue opinioni più o meno pepate, a riparare Jean-Claude Juncker dalla bufera delle proteste nel Parlamento del Lussemburgo. Lo accusavano, lui primo ministro, di aver lasciato trafficare gli spioni, i servizi segreti accusati di traffici poco puliti. Per due ore il premier ha negato colpe personali, poi ha ammesso una responsabilità politica. E a quel punto, il suo governo è già caduto. Lui si è dimesso. Si voterà, pare, a fine ottobre.

Il Lussemburgo è uno dei più piccoli Stati europei, ha 537 mila abitanti. Ma Juncker non è semplicemente il suo primo ministro. Premier da 18 anni e da oltre 30 uomo in politica (nel partito cristiano-sociale), il più longevo fra tutti i leader d’Europa — in giro c’era ancora Helmut Kohl, quando lui diventò primo ministro — e uno dei personaggi più ascoltati da Bruxelles a Washington. «Se mi vedete sudare, non è perché ho paura —ha detto ieri all’inizio del suo discorso —, ma perché qui c’è caldo». Traduzione: ne ho passate di peggio. Ma le macchie da smacchiare, sulla vicenda in sé, erano e sono tante. Juncker era accusato, non dai giudici ma da una commissione parlamentare: di essersi lasciato intercettare dagli spioni senza un minimo di prudenza, di aver raccolto i loro «spifferi» più o meno maligni diretti perfino contro il granduca Enrico, che a detta loro avrebbe trafficato con James Bond, cioè con lo spionaggio britannico; di aver saputo sempre dagli spioni, cioè dal loro capo Marco Mille, che ben 13 mila lussemburghesi — non sono pochi in un Paese così piccolo — venivano illegalmente spiati con tanto di dossier; mentre gli stessi spioni trafficavano anche in auto di lusso e complicate operazioni finanziarie, anche con gli emiri arabi (in una di queste operazioni il Lussemburgo stava per andare in fallimento). O tenevano al calduccio in banca i 180 milioni di dollari portati da un galantuomo di nome Pascal Lissouba, ex presidente congolese beneficato da una tangente petrolifera. Fra uno «spiffero» e l’altro, ricordi e dubbi vanno anche molto indietro nel tempo: ai giorni di «Gladio», che da queste parti avrebbe fatto qualche comparsa, e a certe bombe mai spiegate nella piccola capitale.

Ma il primo ministro sapeva o no di tutto questo? E delle intercettazioni a danno suo e del capo dello Stato? Uno dei testimoni sentiti dalla commissione parlamentare ha proposto una spiegazione: «Juncker non si interessava un granché delle cose dei servizi segreti, non erano proprio fra le sue priorità». E ci starebbe anche, con il carattere dell’uomo malato solo di finanza. Attenzione, dice oggi un suo collaboratore veterano: quell’uomo ha la passione per la finanza sì, e anche l’ambizione, ma non la passione per il potere, anche se può sembrar strano.

Qualunque sia la verità, c’è un inizio preciso per la sua odissea di oggi. È una sera del 2007: Juncker riceve nel suo studio Marco Mille, che cita una certa chiacchierata fra lo stesso premier e il granduca Enrico, un anno prima. Juncker sussulta: loro due parlavano a quattr’occhi, con il granduca, come fa ora Mille a sapere? E perché Mille tende spesso il braccio sul tavolo, con un bell’orologio al polso? Juncker non lo sa, ma nell’orologio c’è una microspia e Mille raccoglie parole, tante parole. Il filo si avvolge

Alla chiusa della sua arringa, ieri, Juncker ha puntato i piedi: «E adesso se dovete votare, votate. Sfiduciatemi, se proprio ci tenete». Altra impennata di furia, o di orgoglio. Del resto, l’uomo ha nella sua biografia un padre che fu arruolato con la violenza dalla Wehrmacht tedesca, ma quella è rimasta forse l’unica «debolezza» di famiglia. L’altro giorno, con l’inchiesta in corso da tempo, nel Granducato c’è stato l’ultimo sondaggio: il 39% dei lussemburghesi indica Juncker come il capo di governo ideale.

Luigi Offeddu


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