Finisce la magia del Babuino

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Chiudere una libreria «folle» e magica, per continuare a inseguire lo stesso sogno. A fine anno calerà il sipario sulla Feltrinelli di via del Babuino, a pochi metri da piazza del Popolo, la prima aperta a Roma, il 10 dicembre 1964, la quarta in Italia di una catena che oggi ne conta oltre centoventi. Definirla sofferta non rende l’idea del travaglio che ha accompagnato la decisione. Perché Babuino è molto più di un «punto vendita», è stata la «casa» per generazioni di scrittori, «avamposto romano» per Inge e i «milanesi», terreno di una sperimentazione che in questi 49 anni non si è mai fermata.
È la stessa Inge Feltrinelli a raccontarne la nascita: «L’idea della libreria in via del Babuino è stata una pazzia di Giangiacomo che voleva realizzare un luogo della cultura viva e moderna di Feltrinelli a Roma. Dopo una serata del Premio Strega, passeggiavamo in via Veneto e Giangiacomo mi mostrò la libreria Einaudi dicendomi: “Bella, ma durerà poco. Voglio realizzare una cosa diversa e voglio farla in via del Babuino”. Allora era una strada piena di polverosi antiquari dove non ti sarebbe mai venuto in mente di realizzare una libreria, ma Giangiacomo la voleva lì e con il miglior libraio d’Italia. Chiamò Carlo Conticelli della Le Monnier di Firenze e gli propose di trasferirsi a Roma: lui diventò, nella capitale, il nostro libraio perfetto».
E la libreria di Babuino divenne il centro di Roma: «Era un posto in continuo movimento — continua Inge Feltrinelli — un work in progress, un palcoscenico teatrale dove si mescolavano il Gruppo 63, le cravatte di Carnaby Street, che Giangiacomo comprava personalmente, e gli intellettuali della capitale, e si giocava con un originale jukebox». Tra le prime a presentare i libri con la copertina «a vista», ad abolire l’orrenda domanda «desidera?» e consentire ai clienti di giocare a flipper, ad accogliere Federico Fellini alle otto del mattino («per ammirare Mirella, la bella cassiera ciociara») e poi da Marcello Mastroianni a Monica Vitti a Elsa Morante, che in quegli anni viveva con Alberto Moravia nella vicina via dell’Oca, per chiudere la giornata con i poeti come Nanni Balestrini e i pittori di via Margutta.
Quel «centro di Roma» oggi non c’è più. Nella decisione di chiudere ha pesato molto la trasformazione di una zona che oggi è tra le più care di Roma, votata ad un turismo di alta fascia, quasi tutto straniero, e dove è impossibile incontrare giovani artisti. Negli ultimi anni la Feltrinelli è andata a cercarli nei nuovi quartieri romani della creatività. Dove poter disporre anche dei tanti metri quadrati necessari ai nuovi punti vendita che hanno un assortimento medio di 35 mila titoli di libri, cui si aggiungono cd, dvd, videogame, cartoleria e giochi, strumenti musicali, per non parlare della ristorazione. E’ in questi nuovi supermercati della cultura (più o meno la stessa definizione che il «Mondo» di Mario Pannunzio usò in negativo proprio per l’apertura di via del Babuino) saranno trasferiti i sei dipendenti della libreria. Nessun licenziamento nell’azienda che comunque deve fare i conti con un mercato in salita e che ha dovuto adottare da qualche mese, in tutta Italia, i contratti di solidarietà. Nelle nuove Feltrinelli l’azienda cerca di rinnovare il mito della «casa» per gli intellettuali che ha fatto la storia di Babuino. «La piccola foresteria che si trova sopra la libreria — racconta Inge Feltrinelli — in origine era un ufficio amministrativo, la base della casa editrice in città. Nel corso degli anni ci ha dormito Gabriel García Márquez, vi si è protetto dal caos e dal caldo romano Günter Grass e vi si è rifugiato, scappando dai colonnelli greci, Vassilis Vassilikos».
Una libreria nella storia d’Italia, assaltata dai fascisti nel 1967, obiettivo di un attentato nei primi anni ’70: ricorda Inge «il forte cameratismo di tutti i nostri librai che durante i fine settimana venivano a Roma da Milano, Bologna, Firenze per dare una mano a ricostruire, spontaneamente».
Babuino chiude per ritrovare altrove lo stesso spirito, quello che, dopo la scomunica del Vaticano nei confronti del libro Il Vicario di Rolf Hochhuth, la portò ad ospitare una sua messa in scena, per una sola sera, con Gian Maria Volontè e la regia di Carlo Cecchi. «C’era tutta la Roma intellettuale, Moravia, Gadda, Pasolini, guidata dalla grande scrittrice americana Mary McCarthy — conclude Inge Feltrinelli — portata da noi come una regina dal critico Paolo Milano, fra tanta polizia».


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