Finanziamento ai partiti, il Pd si spacca

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ROMA — Scade oggi alle 12 il termine per presentare gli emendamenti al disegno di legge del governo per l’abolizione dei rimborsi elettorali. Si vedrà se l’impianto della legge terrà o se i tentativi di ammorbidirlo, facendo rientrare dalla finestra i fondi pubblici per i partiti, avranno successo. Le trattative sono proseguite per tutta la notte, perché nel Pd una sintesi non è ancora stata trovata: da una parte i renziani, che presenteranno emendamenti restrittivi, dall’altra alcuni esponenti della maggioranza pd che si battono per un mantenimento e un aumento dei finanziamenti «indiretti». E non è un caso che intervenga direttamente Matteo Renzi: «Mi aspetto che Pd, Pdl e Scelta civica aboliscano il finanziamento il prima possibile. Se il governo dovesse ritornare su quella posizione perderebbe la faccia». Oggi, intanto, il Pd rischia di spaccarsi anche sugli F35: tra le mozioni che saranno messe ai voti in Senato, oltre a quelle Pd-Pdl, Sel e M5S, ci sarà quella del senatore pd Felice Casson, che chiede la sospensione immediata della partecipazione al programma di realizzazione degli F35.

Sulla fine del finanziamento ai partiti, la maggioranza lavora a una mozione condivisa. Che si rende necessaria anche per evitare di cadere nella trappola del Movimento 5 Stelle, che ha presentato una mozione perché, in attesa della riforma, venga sospeso il pagamento della rata relativa all’anno 2013. Beppe Grillo, tra l’altro, attacca e rilancia le accuse: «Noi abbiamo rinunciato a 42 milioni di euro, i partiti neppure a un euro. Ma non rinunciano a prenderci per il culo». La mozione dei 5 Stelle rischia di dividere soprattutto il Pd. Tutti, nella maggioranza, giurano di voler difendere l’impianto della riforma presentata dal governo. Ovvero l’abolizione del finanziamento pubblico e l’introduzione del principio della volontaria contribuzione dei privati, attraverso il 2 per mille. Ma il diavolo sta nei dettagli. E il rischio che la riforma si sfaldi, magari sfibrata da un perenne rinvio, c’è. Così i renziani sono in guardia. Maria Elena Boschi e altri deputati vicini a Matteo Renzi presenteranno alcuni emendamenti restrittivi: «Il disegno di legge — dice Boschi — non è oro colato, è una linea guida. Può essere migliorato, senza stravolgerne il senso». I renziani diranno no «a qualsiasi forma di finanziamento indiretto». È il capitolo dei servizi: «Non è accettabile che lo Stato paghi per avere spazi pubblicitari sulla Rai o stanzi denaro per prenotare hotel nei seminari di partito. Per noi va cancellata questa parte, che altri nel Pd vorrebbero addirittura aumentare».

Gianclaudio Bressa presenterà a nome personale una proposta per mantenere l’attuale sistema del cofinanziamento pubblico e privato. Il dubbio è che questo emendamento possa essere fatto proprio dal gruppo, di fatto vanificando il senso della riforma. I renziani vorrebbero anche un impegno sui tempi, per evitare slittamenti infiniti (in questo caso Letta ha detto che il governo potrebbe intervenire con decreto).

Ma anche il Pdl pensa a modifiche non irrilevanti. Mariastella Gelmini spiega: «L’impianto del testo del governo è accettabile. Ma siccome non ci facciamo scavalcare da Renzi, siamo disponibili anche a rinunciare al 2 per mille: che rimanga alle onlus. Semmai aumentiamo il tetto delle detrazioni. Sia chiaro: non si dica che il Pdl fa passi indietro, semmai avanti». Lo si dice, però. Perché diversi emendamenti non sono graditi a tutti. Il Pdl, con la Gelmini, dice no a «invasioni di campo nella libertà dei partiti, va salvaguardata la libertà associativa», dice «no allo stop dei finanziamenti indiretti se c’è un cambio di simbolo di partito» e chiede agevolazioni fiscali e accesso dei dipendenti a cigs, mobilità e solidarietà.


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