Evasione, 80 miliardi recuperati e mai restituiti

by Sergio Segio | 28 Luglio 2013 9:10

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ROMA — Ottanta miliardi di promesse. Che sono state regolarmente disattese. La “formula magica” che consentirebbe di abbassare le tasse ricorrendo alle risorse provenienti dall’evasione fiscale si ripresenta regolarmente nella storia recente del Paese. Appare e poi scompare. Crea aspettative e poi le delude.
Sul fronte della lotta all’evasione ci sono gli uomini dell’Agenzia delle Entrate che anno dopo anno snocciolano le cifre del “raccolto” frutto del contrasto agli evasori. Quanto nel 2011? Circa 12,7 miliardi. Nel 2012 una cifra analoga: 12,5 miliardi. Quest’anno, come ha confermato il direttore dell’Agenzia Attilio Befera, facendo i conti, in cassa ci sono 12-13 miliardi. Il dibattito politico, raccoglie, trasforma l’incasso in “tesoretto” e lo utilizza per ipotizzare diminuzioni di tasse. Anche il premier Enrico Letta, di cui tuttavia non si hanno ancora le prove se rispetterà o meno l’impegno, ha detto martedì, in visita all’Agenzia delle Entrate, che con il gettito dell’evasione si ridurranno le tasse. Tuttavia, qualora la promessa fosse mantenuta, riguarderebbe il prossimo anno perché i 12-13 miliardi di cui parla Befera sono stati già inglobati dal Bilancio dello Stato del 2013.
In realtà l’unica manovra di restituzione delle tasse avvenne nel 2000: il ministro delle Finanze Ottaviano Del Turco sostituì Visco nel governo Amato e distribuì un bonus di 150 mila lire a testa (77,4 euro), si limarono gli scaglioni ed eliminò l’Irpef dalla prima casa. Non c’erano particolari risorse dovute alla lotta all’evasione fiscale, ma il 2001 era un anno elettorale.
Successivamente la prassi fu quella, storicamente consolidata, di usare la voce “lotta all’evasione” per mettere una toppa al bilancio dello Stato: quando le coperture non erano sufficienti si ricorreva al gettito dell’evasione che, come ha dimostrato la Corte dei Conti, si rivelava regolarmente sovrastimato.
Solo nella Finanziaria 2011, paradossalmente sotto il governo Berlusconi-Tremonti, fu approvato un emendamento del Pd, a firma di Morando-Rossi, che ribaltava la vecchia prassi: diceva in sostanza che il bilancio dell’evasione andava fatto a consuntivo, cioè una volta che i soldi erano al sicuro in cassa, e che a quel punto l’extragettito doveva essere destinato alla riduzione delle tasse sul lavoro e sulle imprese. Una delle tante leggi dello Stato disattese, perché da allora, in un modo o nell’altro, la lotta all’evasione è diventata una priorità dei governi e i risultati parlano negli ultimi tre anni di circa 38 miliardi recuperati. Nessuno di questi è tornato nelle tasche dei contribuenti onesti. Perché il bilancio dello Stato non ha margini, perché siamo costantemente costretti a rispettare le regole europee e perché l’operazione di taglio delle spese correnti non va avanti.
Tentare di rispettare, in queste condizioni, il meccanismo Morando- Rossi, è un’impresa difficile. Come risultano giuste ma di complessa risoluzione le richieste di sindacati e Confindustria di ridurre il cuneo fiscale: si tratterebbe di un’ottima occasione per mettere in azione quella norma, ma è obbligatorio in prima battuta uniformarsi ai dettati del pareggio di bilancio imposto dal Fiscal compact. Non c’è dunque alternativa se non quella di rilanciare la spending review, sempre che non si vogliano percorrere strade “creative” come quella che propone il capogruppo del Pdl alla Camera Brunetta della rivalutazione delle quote che gli istituti di credito detengono in Bankitalia. Oppure quella, più fattibile, ma una tantum, di utilizzare il maggior gettito Iva derivante dall’accelerazione dei pagamenti dei debiti dello Stato alle imprese. Risorse che comunque avrebbero già come destinazione la copertura del mancato aumento dell’Iva e del taglio dell’Imu.

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