Esplode fabbrica di fuochi, 4 morti ma la strage non ferma la festa del paese

by Sergio Segio | 26 Luglio 2013 6:45

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CITTÀ SANT’ANGELO (PESCARA) — Scende il buio ma la terra ancora scotta, nella valle della morte. Fumi bianchi e piccole fiamme. Il rumore del Canadair che butta acqua. Era bella, questa Valle dei Cipressi. C’erano ulivi e grano, viti e ulivi. Adesso tutto è nero. Della “F.lli Di Giacomo, fabbrica di fuochi artificiali” è rimasto solo il cartello. Erano i fuochisti più bravi d’Italia, questi uomini inventori e produttori di fuochi artificiali. Il 29 luglio dovevano andare ai campionati del mondo a Valmontone in rappresentanza dell’Italia. Ma alle 10 del mattino una casamatta piena di polvere nera è saltata in aria e come in un tragico domino ha fatto saltare altri 9 piccoli bunker. La famiglia Di Giacomo è stata distrutta. I fratelli Mauro e Federico sono dispersi, come il loro nipote Roberto. Un altro nipote, Alessio, è morto invece perché voleva salvare suo padre Mauro. Era a casa, ha sentito il grande botto ed è corso verso la fabbrica dei fuochi. Una seconda esplosione l’ha colpito in pieno.
Quattro vittime del lavoro, fra morti e dispersi, ma a un tiro di schioppo da qui, nel centro del capoluogo Città Sant’Angelo, anche stasera si fa festa e si friggono arancini. Fino a domenica c’è la manifestazione “Dall’Etna al Gran Sasso” e il sindaco Gabriele Florindi non ha ritenuto giusto fermarla in segno di lutto. «Ho però sospeso gli spettacoli», si giustifica. Per fortuna il profumo di arancini non arriva fin qui, dove domina l’odore acre dell’incendio e dove c’è il pianto dei parenti. La signora Nathalie Baldassare è accanto alla sua casa, sotto gli ulivi e lontano dalle telecamere. «I miei non avevano paura, a lavorare con gli esplosivi. Mio marito Federico entrava nella fabbrica come se entrasse a casa sua. Ci andava da trent’anni, nessun problema. E poi si fidava degli altri, tutti fratelli o nipoti. Mio figlio Giordano, che ha finito il liceo l’anno scorso, invece non era entusiasta. Ha cominciato a lavorare lì poi è riuscito a trovare posto in un’altra azienda ed era contento. Ma questa fabbrica ha chiuso e allora il papà gli ha detto: “Il lavoro ce l’hai dentro casa, cosa aspetti?” ».
Papà Federico è ufficialmente disperso, il figlio è invece all’ospedale con una gamba rotta. «Mi ha telefonato adesso, mi ha chiesto di portargli una camicia pulita». Non ci sono speranze di trovare sopravvissuti, nella valle tutta nera. Ma la signora Nathalie non cede alla disperazione. «Sono una mamma — dice — e sono una moglie. Non una vedova, non voglio esserlo. Ha capito bene?». Anche Valentina Di Giacomo, figlia di Mauro, ancora spera. «C’è un bunker sicuro, nella fabbrica. Me ne parlavano sempre, il mio papà e i miei zii. Una stanza chiusa dal cemento, inattaccabile. Io credo che siano ancora là dentro, tutti vivi».
Ma c’è una voragine di dieci metri, là dove c’era il bunker centrale. «Per noi — dice Paolo D’Angelo, dirigente dei Vigili del Fuoco — il bilancio ufficiale è questo: un morto, tre dispersi e sei feriti. Non possiamo, e non vogliamo, dire di più». Il silenzio viene interrotto da scoppi di petardi e anche di qualche carica di fuoco artificiale. «Da oggi pomeriggio noi vigili del fuoco non riusciamo più a entrare nel cratere. C’è troppo pericolo. Anche gli artificieri della polizia debbono ancora iniziare il loro lavoro. C’è troppo caldo, ci sono residui d’incendio che possono innescare i quintali di polvere nera ancora presenti fra i detriti. Però dopo la prima esplosione, siamo arrivati subito e ci siamo buttati nel soccorso: c’erano dei feriti da salvare. È in quel momento che il nostro vigile Maurizio Berardinucci è stato colpito, assieme a due colleghi, dall’altra esplosione ed è stato sbattuto contro un nostro camion. È all’ospedale, con ferite serie. Per fortuna non è in pericolo di vita. Possiamo dire che Santa Barbara ci ha dato una mano».
La frazione di Valle dei Cipressi sembra bombardata. Pezzi di cemento da un quintale sono volati per mezzo chilometro. Uno di questi ha colpito un palo della luce e di questo è rimasto solo il ferro ritorto. Non si sa quanto esplosivo fosse custodito nella ditta Fratelli Di Giacomo. L’azienda era certificata come sicura, aveva anche il “deposito giudiziario” dei fuochi artificiali illegali sequestrati nell’Italia del Sud. «È arrivata la fine del mondo», dice Rocco Di Giacomo, uno dei fratelli soci, parlando al telefono con un parente. «Queste disgrazie succedono a noi che lavoriamo». Era il momento del raccolto, per questi fabbricatori di fuochi. In estate ci sono le sagre patronali, a Ferragosto i fuochi illuminano centinaia di spiagge. «Avevamo vinto l’appalto — dice S., un parente — per la festa di San Franco, patrono di Francavilla, per il 18 agosto. È una festa che attira centomila persone. Eravamo contenti, una buona notizia dopo che tanti Comuni hanno tagliato le spese e non comprano più i fuochi». Per questo erano al lavoro, i fratelli Di Giacomo, campioni d’Italia. Zii e nipoti e nessun dipendente. «Questo perché — dice Mario G., che guarda il buio scendere nella valle nera — questo lavoro lo fai se sei padrone. Non da operaio a 1.200 euro al mese».

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