by Sergio Segio | 3 Luglio 2013 9:06
Nel 1956 il Mossad riesce a individuare una copia del rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin. Un documento che avrebbe cambiato per sempre il mondo, ma che non fu, allora, reso pubblico. La forza dell’intelligence era la segretezza: i vertici sapevano? Ma la gran parte delle persone no.
La forza di un’informazione risiedeva proprio nel fatto che fosse privata: chi la possedeva era un privilegiato. Oggi le cose sono completamente diverse. Oggi c’è il web, innanzitutto, che tende a diffondere rapidamente notizia o pseudo-notizia: il web è un mare magnum dove si può trovare chiunque e qualsiasi cosa. È difficilissimo, talvolta praticamente impossibile, discernere il vero dal falso: teorici del complotto che si esercitano su ogni episodio, video che sembrano autentici si rivelano fake, blogger dediti all’arte della denigrazione. Nemmeno il metro della quantità è un criterio utile: migliaia di «mi piace» su Facebook o centinaia di retweet non sono garanzia né di veridicità né prova di un reale interesse. Si concede un apprezzamento massificato a idiozie, si diffondono notizie prive di sostanza o, peggio, false.
Ma allo stesso tempo verità importanti che un tempo restavano segrete, o confinate in nicchie che nessuno scopriva, con la rete giungono immediatamente a tutti. Ad esempio: un filmato ripreso con un telefonino sulle violenze della polizia non potrà mai più essere nascosto. In una situazione del genere, i giornali, i media classici, si trovano davanti al compito difficilissimo di fungere da setacci volti a filtrare solo le notizie a prova di verifiche. I siti dei quotidiani oggi hanno questo ruolo cruciale: costruire autorevolezza. Eppure tale ruolo è minato nella sua credibilità dagli evidenti condizionamenti politici e ancor più economici che gravano sugli assetti e bilanci di molti dei media tradizionali: fragilità economica innescata proprio dalla trasmigrazione in rete della fruizione di notizie.
In questo smottamento generale del sistema dell’informazione, si giunge allo snodo Edward Snowden. La sua vicenda richiama quella di Julian Assange, anche se i metodi per far saltare i dispositivi di segretezza sono molto diversi. Ma Assange prima e Snowden poi, da soli, riescono a mettere in crisi sistemi complessi per un motivo semplice: si fanno network. In passato possessori di informazioni potevano essere eliminati facilmente, oggi nessun Michelotto Corella, il boia mandato da Cesare Borgia a eliminare i nemici che sapevano troppo, potrebbe cancellare o bloccare i file che vengono prodotti.
Julian Assange comprende che basta un unico tassello che porti informazioni fuori dalla struttura perché l’intera struttura crolli. Quel che rende forte un’azienda o uno Stato è che ciò che accade al suo interno rimanga conosciuto soltanto a pochi o che venga decodificato, tradotto, prima di essere diffuso. Invece Assange prima e ora Snowden hanno fatto in modo che quelle informazioni raggiungessero il web senza filtro, mediazione, spiegazioni. Wikileaks non fa altro che creare una piattaforma digitale dove possono essere riversate informazioni: Assange garantisce che siano autentiche ma non può esser certo che non siano state manipolate o diffuse con fini manipolatori. Sarà la rete a decodificarlo.
È evidente che questo offre il fianco a molte contraddizioni. La rete è aperta a tutti, anche a chi fa circolare menzogne. (Del resto, Assange questo meccanismo lo conosce bene, l’ha sperimentato sulla propria pelle: esistono blog e troll che costantemente lavorano sul web per delegittimarlo). Nonostante questo rischio le rivelazioni di Wikileaks hanno fatto tremare il potere perché hanno fornito delle prove. Questo è il vero centro della riflessione. Proprio qui è la differenza tra il mondo liberale e i tribunali rivoluzionari di qualsiasi stampo. Le controinchieste in stile brigatista che ancora oggi si possono trovare in rete sui siti di estremisti di ogni colore, si basano su generiche condanne del «sistema» dalle quali veniva dedotta la colpevolezza dei suoi esponenti. Non serve avere prove: banche, politici, americani, imprenditori, attori, tutti sono colpevoli e criminali nella loro essenza di capitalisti, o occidentali, dipende dal punto di vista. È l’ideologia a emettere la sentenza. Assange invece raccoglie documenti, Snowden diffonde fatti di cui è a conoscenza. In qualche misura sono dentro la democrazia non sono, come vogliono dimostrare i loro detrattori, contro la democrazia. Non hanno il profilo del gruppo rivoluzionario o terrorista che costruisce teoremi. Hanno prove, fanno venire alla luce comportamenti scorretti, alleanze trasversali, patti segreti, spionaggi inconfessabili.
Oggi la grande sfida sta nel rivolgersi alla democrazia, all’approfondimento puntuale dei meccanismi di controllo del suo funzionamento. Le informazioni divulgate da Assange e Snowden sono decisive: forse non sono cruciali, forse non cambiano davvero la nostra conoscenza di quel che accade nel mondo, forse confermano sospetti che avevamo già. Ad esempio: potevamo immaginare che i servizi segreti spiassero non solo milioni di cittadini ma anche le diplomazie dei paesi alleati: ma c’è una differenza sostanziale tra avere un sospetto e avere una prova di questo.
Ma c’è un’altra faccia della medaglia: se la segretezza sta diventando impossibile anche la privacy, elemento sacro per mantenere la propria dignità, rischia di essere per sempre violata. Si può calpestare la privacy dei cattivi affari? Si deve far saltare la segretezza degli affari criminali, per esempio. Ma non quella personale, il dettaglio privato, qualunque dettaglio riferito a qualsiasi persona ne mini la reputazione o la renda anche solo ridicola. I grandi media iniziano a porsi dei limiti e a decidere cosa pubblicare e cosa no: verificano e decidono non solo cosa è vero e cosa è falso ma anche cosa è importante e cosa no per l’opinione pubblica. Il resto è affidato all’autarchia e all’anarchia della rete: cioè alla responsabilità dei singoli che premono il tasto invia e stabiliscono cosa va on line. Quale mondo sta venendo fuori? Un mondo in cui è impossibile difendersi. Ma soprattutto un mondo dove sta diventando sempre più difficile difendere l’informazione e valutarne l’attendibilità.
Forse è presto, ma prima o poi, bisognerà porre il problema delle regole nel vasto mare del web.
Il mondo è cambiato, la fine della segretezza è un fatto: ma non è in sé garanzia né di democrazia né di miglioramento dello stato di cose presenti. Ci sono molte domande a cui prima bisogna rispondere: come decodificare il vero dal falso? Come evitare che questa distruzione di privacy calpesti i diritti individuali facendo sentire tutti potenzialmente estorti e deboli? Come permettere che le informazioni modifichino davvero i meccanismi del potere? Come evitare che lo stesso potere avveleni i pozzi del web, manipolando, indirizzando, diffondendo informazioni a suo piacimento? Il mondo con Snowden è cambiato per sempre.
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PUBBLICHIAMO un brano dell’intervento intitolato “In Medias Res” che lo scrittore Roberto Saviano leggerà questa sera alle ore 21 al Festival di Massenzio a Roma
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