“Dossier illegali, due anni a Tronchetti”

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MILANO — Un reato, la ricettazione, «che emerge direttamente dagli atti dell’inchiesta». Quattro testimoni che confermano come, l’ex numero uno di Telecom Marco Tronchetti Provera, fosse a conoscenza dell’opera di hackeraggio compiuto in Brasile dalla Security del suo gruppo a danno della multinazionale delle investigazioni Kroll. Ma c’è anche di più, per l’accusa. Sono le stesse dichiarazioni rese al processo dall’imputato Tronchetti Provera che dimostrano le sue responsabilità.
Ecco, per il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo, il nocciolo delle colpe dell’ex principale azionista Telecom e numero uno Pirelli, nel processo in cui è accusato di ricettazione. Ed è per questo che Tronchetti Provera merita due anni di reclusione e 5 mila euro di multa. Un rivolo, il dibattimento che si è consumato ieri, del filone principale contro l’ex Security Telecom, iniziato con l’arresto di Giuliano Tavaroli e dei suoi più stretti collaboratori, portato avanti originariamente dai pm milanesi senza mai coinvolgere direttamente — e non senza polemiche — i vertici aziendali.
Questa vicenda risale al 2004. In Brasile, Telecom è azionista insieme anche al gruppo rivale capeggiato dal banchiere Daniel Dantas, della compagnia telefonica nazionale. Telecom teme mosse strategiche poco gradite dai soci «rivali» e, attraverso la
squadra del capo security Tavaroli, intercetta l’archivio raccolto segretamente da Kroll per conto di Dantas. Attraverso il cosiddetto “Tiger team”, composto da esperti informatici professionisti, il materiale viene scaricato illegalmente dai computer della Kroll e trasferito in Italia alla sede della Telecom in una busta, in forma anonima. Secondo la procura di Milano, prima di inviarlo al comando dei carabinieri di via Moscova, i cd rom su cui è contenuto il materiale, vengono messi a disposizione dell’ufficio legale del gruppo prima e del principale azionista poi. Ben quattro testimoni hanno spiegato in aula di come Tronchetti Provera fosse a conoscenza dell’attività illecita dei suoi dipendenti: un’opera di hackeraggio bella e buona. Non solo. Robledo sostiene anche come l’allora numero uno Telecom, durante le dichiarazioni rese a processo, si sia autoaccusato da solo della ricettazione. «Anche perché — ha sostenuto Robledo — che bisogno ci sarebbe stato di quell’invio in forma anonima dal Brasile del materiale illegalmente sottratto?».
Ma qui le versioni divergono. Di «grave lacunosità della tesi accusatoria che ha vissuto e vive di aperte contraddizioni», parla l’avvocato Roberto Rampioni, legale dell’imputato. «Il fragile assunto della procura — la conclusione di Rampioni — fonda in tutta evidenza le proprie ragioni sul principale teste d’accusa (Tavaroli, ndr), che però ritiene attendibile solo a fasi alterne, ed è contraddistinto da marcate illogicità che hanno accompagnato fin dall’origine tutto il procedimento».
Mercoledì 10 luglio, le parti dovrebbero concludere e il giudice monocratico, Anna Calabi, a meno di impedimenti dell’ultima ora, non è escluso che possa già ritirarsi in camera di consiglio per la sentenza.


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