Delrio con Casaleggio: situazione difficile, al limite della rabbia

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ROMA — La sorpresa arriva da Graziano Delrio, il ministro renziano degli Affari regionali. Che rompe il muro del Pd sull’ultima uscita di Gianroberto Casaleggio e arriva a dare ragione agli oscuri presagi del guru dei Cinquestelle. «Ha detto una cosa vera. Abbiamo una situazione che è al limite della rabbia», ha spiegato il ministro intervenendo a Modena. E sono parole che probabilmente non piaceranno tanto né ai colleghi di governo di Delrio, né a quelli del partito. Sul tema, dalla Festa dell’Unità di Roma, interviene anche Pier Luigi Bersani: «Che la situazione sia al limite della rabbia lo dico anch’io, non vorrei però che Casaleggio ci offrisse il suicidio di massa».

Eppure, Casaleggio o non Casaleggio, il partito rimane appeso alle questioni ancora aperte. Guglielmo Epifani, per esempio, si prende giusto il tempo di rispedire al mittente la provocazione di Renato Brunetta sul riequilibrio della squadra di governo. «Più ministri al Pdl? Suvvia, parliamo di cose più serie». Poi, parlando dalla «rossa» Livorno, il segretario prova a rilanciare, per l’ennesima volta, la promessa di «un congresso che, come abbiamo detto, si terrà entro l’anno». Un congresso, aggiunge, che «spero sia buono», che servirà «a far discutere i nostri iscritti e i nostri militanti», che dovrà «rafforzare la nostra identità».

Promesse a parte, lo slittamento della partita finale delle assise — e cioè le primarie aperte con cui si eleggerà il prossimo segretario — sembra davvero difficile da scongiurare. Per una questione di tempi. L’Assemblea nazionale del partito, l’unico organismo che può ratificare i cambi di statuto, a meno di clamorosi colpi di scena non sarà convocata prima del «rompete le righe» estivo. Per non parlare della commissione interna per il congresso, per cui a ieri sera non era ancora stata fissata una nuova riunione. E se a questo si aggiunge il pressing dell’ala «governista» che comincia a chiedere apertamente un allungamento dei tempi (il primo è stato Beppe Fioroni in un’intervista al Corriere ), ecco che anche l’Unità di ieri pubblica un articolo in cui si certifica — sin dal titolo — «la tentazione di rinviare le assise al 2014».

Il dossier è di quelli che riescono ad arroventare il clima del partito anche in assenza di Matteo Renzi, che mantiene la sua promessa del «silenzio». «Rinviare il congresso? Non ci provassero a esiliare ancora una volta la politica», scrive su Twitter Goffredo Bettini, che pungola l’esecutivo: «Questo governo non risolve i due grandi problemi della democrazia italiana. La presenza di una destra anomala e populista e il fossato che si è creato tra istituzioni, potere, democrazia e cittadini». E non è il solo. «Rimandare il congresso significa decretare la morte del Partito democratico», è l’adagio su cui il vicepresidente del Parlamento europeo Gianni Pittella chiede il sostegno degli altri candidati già iscritti alla corsa a segretario (il primo a rispondergli «sì» è Pippo Civati).

E questo è niente rispetto a quello che potrebbe succedere ai due appuntamenti col Pd a cui si presenterà Enrico Letta in persona, dall’assemblea dei deputati di domani alla Direzione di venerdì. Dopo i candidati senza mozione, cominciano a spuntare mozioni senza candidati. E tutte riguardano il governo. «Saremo leali ma adesso il Pd deve cominciare a proporre una sua agenda all’esecutivo», è l’avviso di Pier Luigi Bersani, che ieri a Milano ha risposto alle domande dei pm su una vecchia querela per diffamazione del finanziere «renziano» Davide Serra. Un avviso che ha lo stesso mittente a cui la Bindi indirizzerà la sua, di mozione. E cioè Enrico Letta. La cui scelta di evitare la conta sul sostegno al governo rischia sempre più di essere messa in discussione.


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