by Sergio Segio | 3 Luglio 2013 9:05
Il primo ad accorgersene fu il sergente istruttore nella base di Fort Benning (Georgia), anno 1994. «Sei tu quello nella foto accanto a Kurt Cobain? » «Yes, Drill Sergeant», fu la risposta di Jason Everman. L’ex chitarrista dei Nirvana, poi arruolatosi nelle U.S. Army Special Forces per combattere i Taliban sulle montagne dell’Afghanistan, ora è stato ritrovato da un suo collega musicista. Clay Tarver ha rintracciato l’amico scomparso, lo ha intervistato per il
New York Times Magazine, ha ricostruito questa storia. Talmente incredibile, che come sceneggiatura per un film di Hollywood rischierebbe di non passare la soglia della verosimiglianza. Basta guardare le foto, per avere le vertigini. Da una parte c’è un ragazzo coi capelli lunghi, una cascata di bei riccioli sulla schiena, vestiti punk, un’aria scanzonata e provocatoria, da ribelle. Dall’altra c’è un Rambo barbuto in tenuta da combattimento d’alta montagna, con racchette da neve ai piedi, tuta mimetica, il fucile automatico puntato, e un cinturone carico di munizioni. Uno di quelli che la notte arrivano dal cielo, sugli elicotteri Black Hawk, con gli occhiali a raggi infrarossi, per i blitz dei commando speciali.
Dai Nirvana ai reparti d’assalto. Tarver ha dovuto lavorare per molti mesi, intervistare altri testimoni, per trovare il bandolo di una storia così incredibile, ricostruire la parabola di un anti-eroe che mescola in sé personaggi di Ernest Hemingway e Joseph Conrad: ma solo quelli più ambigui, che alla fine della loro storia stanno ancora cercando una morale. Un punk maledetto dalle proprie psicosi, che lo hanno messo ai margini dal mondo musicale, dopo una carriera breve ma folgorante. Alla fine degli anni Ottanta, nel giro di pochissimo tempo Everman è secondo chitarrista o bassista in due band che insieme vendono 100 milioni di dischi: prima i Nirvana, poi i Soundgarden. All’età di 26 anni riuscire a farsi cacciare da tutt’e due, scrive il suo amico Tarver, «è un po’ come fare due volte la fine di Pete Best, quello che i Beatles misero fuori dal gruppo». Ma questo finale è diverso. Everman non si accontenta di diventare «una breve nota a piè di pagina nella storia dei Nirvana». Finito il rock, la sua vita non fa che cominciare. E che vita.
Fin da adolescente, un’attrazione per le armi l’aveva sempre avuta, Everman. Alle medie si beccò una sospensione di due settimane per avere distrutto i bagni della scuola con delle cariche esplosive di M-80. I familiari lo mandarono da uno psicoterapeuta: non trovando altro modo per sciogliere la timidezza del ragazzo, il medico ci provò con la chitarra elettrica. «Furono le lezioni di chitarra più costose della storia», scherza Everman. Meno efficaci, quelle sessioni, per risolvere le sue nevrosi. Il carattere sarà la sua maledizione: lo porterà rapidamente a isolarsi, a entrare in rotta di collisione col resto del gruppo, nelle delicate dinamiche delle bande rock. I Nirvana non erano certo un modello di stabilità psicologica e serenità: il leader
Kurt Cobain finì suicida. Eppure per Everman non c’era posto tra loro, per espellerlo i Nirvana cancellarono un’intera tournée e traversarono gli Stati Uniti coast-tocoast rinchiusi in un mutismo totale, finché lui non se ne andò. E’ dopo il secondo divorzio, quello dai Soundgarden, che Everman ha la sua folgorazione. Nel 1993, mentre sta vivendo in una comune a San Francisco, parte per un centro di reclutamento militare in Georgia. A 26 anni è quasi vecchio per provarci. I sergenti istruttori, «due su tre malati di sadismo», sono dei personaggi alla Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Il loro mestiere impone che scoraggino almeno la metà dei candidati reclute. Le prove massacranti – «corri 5 miglia in meno di 40 minuti, poi completa il test del nuotatorecombattente, poi altre torture che il capo decide di infliggerti» – non lo scoraggiano.
Eppure ogni volta che un sottufficiale riconosce Everman, in una foto dei Nirvana, l’accanimento contro di lui diventa ancora più estremo: «Forza, rockstar, fammi altre 50 flessioni». Lui supera ogni prova, parte per la prima missione all’estero nei Rangers: forze speciali nella guerra contro i narcos in America latina. L’11 settembre 2001 sta guardando la Cnn quando gli aerei centrano le Torri gemelle: «Ho capito subito che sarei partito in guerra». Gli anni successivi li passa a cavallo sui monti afgani tra le tribù pashtun, o nei raid notturni sugli elicotteri, o a caccia di piantagioni di oppio a Kandahar. «E’ molto diverso dai film, è tutto più lento, accurato», racconta. Lascia i reparti speciali, per anzianità, nel 2006. Si iscrive alla Columbia University, con tanto di lettera di encomio del generale McChrystal. A 45 anni, ha appena ottenuto la sua prima laurea. In filosofia. «Adesso saresti il prof. di liceo più ganzo della terra», gli dice l’amico. «Mi manca la pazienza — risponde lui — preferisco fare il barista».
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