Commercio, in 2 mesi 7.000 nuovi esercizi Il caso di Asti: come rianimare i centri storici

by Sergio Segio | 29 Luglio 2013 4:49

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Il saldo positivo, infatti, a maggio-giugno è stato di +1.422 negozi. Chi sono i protagonisti di questo strappo in avanti che reca con sé il segno del coraggio (se non dell’ottimismo)? Incrociando i dati resi noti ieri all’analisi delle dinamiche quotidiane viene fuori che due sono i profili prevalenti: giovani in cerca di sbocco sul mercato del lavoro e stranieri. Subito dopo arrivano gli italiani attorno ai 50 anni che cercano di reinventarsi un’attività imprenditoriale dopo essere stati espulsi dalle fabbriche e dagli uffici. Gli stranieri stanno diventando una componente stabile del mondo del commercio e le loro aperture non destano meraviglia, l’aumento è sempre stato costante. In qualche caso è l’ultimo tentativo prima di far le valigie e lasciare l’Italia. Mentre per quanto riguarda i giovani la novità è che il commercio è diventato centrale nelle strategie di ingresso sul mercato del lavoro. Sta sostituendo in parte la ricerca del posto fisso perché sembra presentare meno barriere all’ingresso.

Commenta Mauro Bussone, segretario generale della Confesercenti: «E’ vero. Il lavoro autonomo sta assolvendo un ruolo di assorbimento dello shock della disoccupazione rivitalizzando la tradizione imprenditoriale degli italiani». Un contributo alle aperture di nuovi punti vendita viene sicuramente dal franchising organizzato dalle grandi catene commerciali mentre se c’è un settore che non riesce a riemergere è l’abbigliamento. Ancora: il boom è quasi tutto nordista, le regioni settentrionali fanno infatti registrare il 73% del saldo positivo tra aperture e chiusure, il Centro e il Sud invece contribuiscono all’80% delle cancellazione di imprese di maggio e giugno.

Se queste sono le tendenze del mercato e se l’avvertenza è di prenderle con le pinze perché molto spesso ci si improvvisa commercianti in una fase che si presenta tutt’altro che «romantica», questi dati ci dovrebbero comunque spingere ad aggiornare programmi e proposte. Le organizzazioni del commercio in questi mesi hanno sottolineato come si corra il rischio della «desertificazione» dei centri storici, ovvero della chiusura dei negozi in intere vie delle nostre città. E quasi sempre si tratta di esercizi con una storia pluriennale e persino dotati di un proprio brand riconoscibile. Le saracinesche chiuse diventano quindi la fotografia della Grande Crisi che ci colpisce di più perché davanti a quelle serrande ammainate ci passiamo davanti tutti i giorni. Per far fronte a questa situazione — sulla scia dei dati Confesercenti — occorrerebbe che le amministrazioni comunali si muovessero per assicurare una rotazione agli esercizi chiusi aiutando i giovani ad aprire anche in posizioni commerciali di sicuro interesse e grande circolazione di potenziali clienti. L’ostacolo a operazioni di questo genere è rappresentato dagli affitti che in centro sono elevati. Esiste però un precedente ad Asti dove, in virtù di un accordo tra il Comune, la Confcommercio e le altre organizzazioni di Rete Imprese Italia, sarà applicata un’aliquota Imu agevolata ai proprietari di immobili commerciali che li daranno in locazione a nuove iniziative commerciali, a canoni calmierati e garantiti per almeno 3 anni. Il Comune di Asti interviene tramite un apposito fondo (la dotazione è di 30 mila euro) e garantisce il proprietario contro eventuali inadempienze del neo-commerciante fino a un massimo di 6 mensilità. Al di là comunque dei dettagli di funzionamento si tratta sicuramente di una best practice che potrebbe essere facilmente estesa.

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