Cinque anni di detenzione al blogger russo dissidente

by Sergio Segio | 19 Luglio 2013 7:21

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MOSCA — Cinque anni senza condizionale per un caso di furto già archiviato in una precedente inchiesta: in un’aula affollata e caldissima, il leader dell’opposizione Aleksej Navalny è stato subito arrestato ieri dopo la lettura della sentenza. Mentre fuori i suoi sostenitori protestavano, il blogger 37enne ha abbracciato la moglie Yulia e la madre, ha stretto la mano al padre e si è fatto ammanettare. All’ultimo momento ha consegnato a Yulia l’orologio da polso che gli sarebbe stato tolto poco dopo. A sorpresa, l’accusa ha subito chiesto alla corte di scarcerare l’imputato fino alla conclusione del processo di appello, almeno secondo quanto ha riferito l’agenzia Interfax. Il tribunale deciderà stamane.

La sentenza, criticata in tutto il mondo, toglie Navalny di mezzo per le prossime elezioni al Comune di Mosca e per quelle presidenziali del 2018. Inoltre lo pone accanto ad altri personaggi che in questi ultimi anni si sono trovati nei guai dopo aver avuto scontri politici con i gruppi di potere che si riconoscono nel presidente Vladimir Putin. Mikhail Khodorkovskij, l’ex patron della compagnia petrolifera Yukos che è in carcere da otto anni; le ragazze del gruppo punk Pussy Riot che protestarono in chiesa; un altro leader dell’opposizione, Sergej Udaltsov, agli arresti domiciliari. E infine l’avvocato Sergej Magnitskij, che morì in cella dopo aver denunciato una truffa ai danni dello Stato e che ha appena subìto una condanna postuma da un tribunale. La sentenza contro Navalny ha immediatamente portato in piazza i suoi sostenitori anche a Mosca, San Pietroburgo e Ekaterinburg, in risposta all’invito dello stesso blogger: «Ok, non vi annoiate senza di me. E, soprattutto, non rimanete fermi. Il rospo non si staccherà da solo dall’oleodotto». Il riferimento è al presidente che guida un partito che Navalny aveva definito «di ladri e truffatori».

I tremila dimostranti scesi in piazza a Mosca con i ritratti del loro leader gridavano «vergogna!». Molti paragonavano questa nuova stagione di repressione (altri partecipanti ai cortei dell’anno scorso sono stati recentemente incriminati) agli anni Trenta di Stalin. Allora i processi farsa furono scatenati dopo l’assassinio del leader bolscevico Sergej Kirov. Casualmente la città dove Navalny è stato processato porta proprio il nome di Kirov. È lì che negli anni passati, quando Navalny era consigliere del governatore, sarebbe avvenuto il furto. L’accusa è che il blogger avrebbe agito con vari complici per rubare dalla società forestale Kirovles legname che poi avrebbe rivenduto. Alla società sarebbero stati sottratti 16 milioni di rubli, circa 400 mila euro. Il fatto è che il caso era già stato esaminato anni fa e chiuso per non luogo a procedere. Poi, quando Navalny è diventato uno dei leader della protesta contro la rielezione di Putin dell’anno scorso, il Comitato investigativo ha riaperto le indagini e ha chiesto il processo. Come spesso avviene in Russia (nel 99% dei casi, secondo le statistiche) il giudice ha accolto quasi in pieno le richieste dell’accusa: colpevolezza e condanna a cinque anni (anziché i sei richiesti).

Dalla sua cella, Khodorkovskij ha detto che si aspettava un verdetto simile: «Basta essere una persona per bene oggi in Russia per diventare un eroe». Mikhail Gorbaciov ha giudicato «molto deprimente» la sentenza: «è la conferma che non abbiamo un sistema giudiziario indipendente». Anche la responsabile della diplomazia Ue, Catherine Ashton, pensa che il verdetto sollevi seri problemi sul rispetto della legge in Russia, mentre l’ambasciatore Usa ha parlato di «una profonda delusione» . Preoccupati per come funziona il sistema legale russo anche i tedeschi. Il portavoce della cancelliera Merkel ha affermato che in ogni caso per i reati contestati «cinque anni sembrano una condanna sproporzionata». Il segretario della Cgil Susanna Camusso, a Mosca per un vertice di organizzazioni sindacali, ha detto che sia l’Italia che l’Europa devono essere «più netti in materia di diritti umani».

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