Calderoli e la lite con Bossi: sono ancora sotto choc

by Sergio Segio | 3 Luglio 2013 7:09

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Tutto giusto. Eppure, se il problema si chiama Umberto Bossi il non affrontare la situazione, lo sperare che il silenzio faccia stingere il «Capo» sullo sfondo, il dar la colpa — ancora una volta — ai giornalisti «che cacciano palle» e «ci ricamano» potrebbe essere un errore catastrofico.

Perché la tragedia è che tutto accade lì, in pubblico. Non si può più dire che sian «palle»: è il palco dei comizi, un tempo trampolino per gli assalti contro Roma ladrona, che diventa il teatro di uno psicodramma collettivo e senza precedenti, in cui ad azzannare la Lega è il suo stesso padre.

Ad ogni uscita pubblica, Bossi spara a canne mozze contro il nuovo corso leghista: «Siete finiti», «partito di cravattari», «traditori della base». Senza mai scordarsi di far risuonare il vecchio urlo, «Padania libera» irridendo di fronte a tutti il più composto «Prima il Nord». Ai dirigenti presenti, tocca rispondere. Dare sulla voce a chi per trent’anni è stato «il Capo», il Tutto, la Lega stessa. È successo sabato scorso a Cermenate con Matteo Salvini, è successo il giorno dopo a Spirano, e in maniera più rude, con Roberto Calderoli. Entrambi costretti a intervenire — e per Calderoli lo sa il cielo quanto deve essere stato difficile — per temperare sortite sempre più devastanti: «Fino all’ultimo me ne sarei stato zitto — racconta —. Fino all’ultimo. Ma certe cose no, non si possono dire. Ho visto la faccia dei militanti di fronte a me che cambiava colore. Però, lo dovevo fare, e se serve lo rifarò. Anche se per me è stato uno choc». Forte al punto da farlo ammettere: «Ho pensato di mollare tutto».

Forse soltanto Calderoli, l’uomo a cui bastò una telefonata del Capo per interrompere il viaggio di nozze, l’interprete ingegnoso delle mille malizie tattiche bossiane, poteva togliere la parola e rispondere a muso duro a Bossi: «Avevi detto che non volevi fare come Salomone che rischiava di dover tagliare il bambino in due. Ma con quello che dici ogni giorno su Maroni, qui tagli il partito a pezzi con lo spadone».

Il fatto è che non si tratta soltanto di un problema umano. Il Bossi rabbioso, il Bossi che sogna la rivincita e lo dice, il Bossi che impallina la nuova dirigenza in ogni possibile occasione imballa completamente il motore della Lega. Non si tratta soltanto delle cannonate sparate di fronte ai militanti e quelle, anche più esplosive, che vengono confidate in privato a chiunque abbia voglia di ascoltarle. Il problema è politico: da qualche tempo il Carroccio va preparando un’iniziativa su cui punta molte delle sue fiches. L’architrave di tutta la strategia politica in vista della gigantesca tornata amministrativa della prossima primavera, quella in cui la Lega spera di poter ancora risalire la china

Peccato che dell’iniziativa i nordisti non possano parlare. Per ora, è impensabile. Perché il Bossi furioso, che da oggi sarà tallonato dai cronisti come negli anni belli del governo, è in grado di polverizzare qualsiasi trovata con una pernacchia delle sue. Di ridicolizzarla prima ancora che abbia il tempo di farsi conoscere. Soprattutto ora che il fondatore ha ripreso a fare comizi a ritmo serrato: domani sarà nel suo paese natale, Cassano Magnago, e sabato sera a Besozzo. Una mina vagante che al momento nessuno sa come disinnescare.

La soluzione, per ora, cerca di tratteggiarla lo stesso Calderoli: «Al congresso del prossimo febbraio bisognerà trovare come nuovo segretario un giovane che goda della stima sia di Maroni che di Bossi. Altrimenti, qui, andiamo tutti a sbattere».

Marco Cremonesi

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