All’orizzonte il rinascimento nipponico E si prepara il confronto con la Cina

by Sergio Segio | 22 Luglio 2013 6:29

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Più di vent’anni dopo, il Giappone è tornato. La robusta vittoria elettorale di Shinzo Abe, ieri, è l’affermazione di un leader che propugna un nazionalismo non arroccato su se stesso, che anzi fa onde alte tutto intorno: ora, il primo ministro ha una maggioranza nelle due ali del Parlamento e per un triennio, se non si lancerà in avventure, potrebbe approfittare della stabilità politica per portare avanti il programma di rinascita nipponica, interna e estera. I vicini ma anche il resto del mondo dovranno prenderne nota. Probabilmente sarà un bene: il Sol Levante ci mancava, la terza economia del pianeta a crescita zero, intristita e senza ambizioni, ha pesato per due decenni sulla creazione globale di ricchezza. Il ritorno avviene però in un quadro molto diverso da quello dei primi anni Novanta, quando Tokyo si rinchiuse nella sua crisi: allora, la Cina era un Paese in crescita ma di seconda fila, in economia come in politica; oggi, ha sorpassato il Giappone per Prodotto interno lordo, ha deciso di essere la superpotenza dell’Asia e di sedersi al vertice del mondo al fianco degli Stati Uniti. Ci sono molti semi affinché la rivalità storica dei due Paesi rifiorisca: a Tokyo come a Pechino, i nazionalismi sono ben concimati.

Se la cosiddetta «Abenomics » — la politica economica estremamente espansiva di Abe — avrà successo e il Sol Levante tornerà a crescere, si sarà acceso di nuovo un motore importante, in un quadro di rallentamento delle economie in Europa e nei Paesi emergenti, soprattutto nei Bric (Brasile, Russia, India, Cina). La maggioranza nelle due camere offre ad Abe la possibilità di fare approvare dal Parlamento una serie di riforme di liberalizzazione molto necessarie all’economia nipponica, promesse dal premier ma finora rinviate proprio perché non aveva i muscoli per imporle. C’è però un aspetto della «Abenomics» che non va sottovalutato: è portata avanti senza mai tenere conto degli effetti che ha sul resto del mondo, in particolare sui vicini asiatici. Soprattutto, la politica monetaria straordinariamente espansiva varata dal nuovo governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda — nominato e voluto da Abe — provoca tra le altre cose una robusta svalutazione dello yen. La qual cosa aiuta le esportazioni giapponesi ma spinge flussi di capitale dal Giappone nelle economie vicine, con effetti-bolla e rivalutazioni non volute in queste ultime.

C’è insomma una faccia nazionalista nelle scelte economiche nipponiche dell’era Abe. Ed è la prima volta in decenni che nel Giappone moderno il nazionalismo in economia e finanza si sposa con il nazionalismo in politica, con il braccio di ferro sulle isole Senkaku ingaggiato con Pechino e con le visite — altamente irritanti per Pechino — di decine di deputati del partito liberaldemocratico di Abe al sacrario Yasukuni, dove si onorano tra l’altro le anime di 1.068 criminali di guerra giapponesi (14 di classe A, cioè giudicati criminali contro la pace). Abe — che è al governo da sette mesi — ha inoltre deciso di aumentare il budget destinato alla Difesa: non succedeva da 11 anni. Soprattutto, ha l’obiettivo dichiarato di modificare la Costituzione pacifista imposta al Giappone dagli americani nel 1947: intende dare uno status più rilevante ai militari, passo necessario per potere poi creare un esercito più grande.

Il confronto in preparazione tra Cina e Giappone fa dunque sì che nell’Asia dell’Est economia e politica si intreccino come non accadeva da decenni. Lo scorso marzo, per dire, Abe ha deciso di fare aderire il Giappone ai colloqui in corso per la liberalizzazione dei commerci nel bacino del Pacifico. Si tratta di un negoziato rilevante, al quale partecipano gran parte dei Paesi della regione, compresi tra gli altri gli Stati Uniti (Obama ci tiene molto), il Canada, il Messico, il Cile, l’Australia, il Vietnam. Ma non la Cina. Non è dunque sorprendente che a Pechino il presidente Xi Jinping — che pure di nazionalismo se ne intende e che sulle isole Senkaku, che i cinesi chiamano Diaoyu, ha già mosso parecchi pescherecci e pedine — tenga l’attenzione puntata su ogni mossa di Tokyo.

Fatto sta che, come dimostrano le elezioni di ieri, Abe ha elettrizzato almeno una parte dei giapponesi, nel bene e nel male. Dall’inizio dell’anno, l’indice Nikkei 225 della Borsa è lievitato di oltre il 40%, nel primo trimestre del 2013 la spesa per consumi è salita del 3,5% (su base annua), ci si aspetta che l’economia cresca quest’anno di quasi il due per cento. E la moneta si è svalutata da 84 yen per un dollaro lo scorso dicembre ai cento yen per dollaro di questi giorni. Con l’euro, nello stesso periodo, da 107 yen a 132: l’effetto Abe è che, rispetto a sette mesi fa, esportare in Cina è per la Mercedes del 23% più difficile che per la Toyota. È che il ritorno del Sol Levante è una gran cosa per il mondo. Ma fargli di nuovo spazio non a tutti fa piacere.

Danilo Taino

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