Alfano: gravissimo, io non informato E anche nel governo nessuno sapeva

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ROMA — Non sapeva lui, non sapeva nessun altro ministro, non sapevano nulla di nulla nel governo: «Non ero stato informato io, né i miei colleghi né il presidente del Consiglio». Lo dice all’inizio del suo intervento nell’aula del Senato prima e della Camera poi Angelino Alfano, lo ripete alla fine, ottenendo gli applausi solo del suo partito ma il silenzio gelido, se non le critiche esplicite, del Pd e le accuse dirette di Sel, di Grillo e dei suoi, i dubbi pesanti di Scelta civica, quelli della Lega. Nessuna responsabilità diretta, insiste Alfano teso, preoccupato, mentre legge la relazione del capo della Polizia Pansa che diventa la sua difesa e che viene politicamente sposata da Palazzo Chigi con un comunicato ufficiale. Grandi colpe invece — accusa il ministro — dei vertici del Viminale e della polizia, che pagheranno con caduta di teste e una profonda ristrutturazione interna la catena di errori, omissioni, forzature, silenzi, mancati controlli che hanno portato al rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva e della piccola Alua.

La giornata è drammatica, mai forse tanto plastici sono stati il disagio e la difficoltà della maggioranza nello sposare una linea che appare debole e lacunosa e meritevole di altro che di scuse e di assicurazioni che «tutto questo non dovrà più succedere» per un caso tanto delicato che suscita la richiesta (per vie informali) di chiarimenti anche dell’Unione Europea, interessata a capire se ci siano state falle gravi nella «politica sul diritto d’asilo» di un Paese del peso, della tradizione, della centralità dell’Italia.

Venerdì al Senato si voterà la mozione di sfiducia al ministro, ovviamente a voto palese, e già si sa che Lega, Sel e M5S la sosterranno. Ma è il profondo disagio del Pd che rende fragile il quadro e possibili ancora contraccolpi pesantissimi. Se infatti possono apparire scontati gli attacchi di Grillo («Quelle di Alfano sono ignobili bugie») e di Sel che hanno presentato la mozione, pesa di più l’atteggiamento dell’alleato (sul territorio se non al governo) leghista, che con Salvini già annunciava la sfiducia perché «Alfano non poteva non sapere» ma che in serata, anche per evitare rotture con il Pdl, correggeva: «Alfano ha chiarito che non sapeva». Ma soprattutto, pesa enormemente la richiesta di Renzi che sia Enrico Letta a spiegare il caso in Aula, che sia insomma il premier a fare da scudo pubblico ad Alfano assumendosene le conseguenze a livello di immagine o che lo molli, esponendo l’esecutivo a una possibile crisi di governo.

Sì perché mentre anche da Scelta civica i mugugni si fanno forti («Il discorso di Alfano è stato involuto, poco chiaro, deludente. Si continuano a non capire i motivi dell’espulsione» dice Andrea Romano), il Pdl fa muro sul proprio ministro e soprattutto vicepremier e segretario: «La maggioranza deve credere ad Alfano», dice Schifani, mentre Brunetta parla di un’informativa «di trasparenza cristallina», Cicchitto chiede che non prevalga «il masochismo» e la Gelmini che venga sconfitto «un golpe mediatico», Gasparri mette in dubbio il reale stato di perseguitato politico di Ablyazov e la Santanchè se la prende con il Pd che non applaude: «Questo sarebbe lo spirito delle larghe intese?».

Insomma, per Berlusconi e il suo partito non esiste nessun cedimento possibile: «Alfano non si tocca, o viene giù tutto» è il messaggio. E se il Pd vuole assumersi la responsabilità dello sfascio, dicono dal Pdl, lo faccia pure… Ma che nel governo la linea sia quella della blindatura totale, che lo stesso Letta dovrebbe ribadire in Aula venerdì parlando in prima persona proprio per dimostrare fiducia al suo ministro, lo dimostrano anche le parole dello stesso premier, quelle della Cancellieri per la quale è «possibile» certamente che Alfano non sapesse. E la presenza di tanti ministri seduti accanto a lui, in Senato e alla Camera. Fedeli al principio, mai tanto chiaro come per questo governo, che simul stabunt, simul cadent .

Paola Di Caro


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