Addio a Riccarelli, scrittore del dolore

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Se n’è andato senza poter sapere quale sarà la sorte del suo ultimo romanzo, L’amore graffia il mondo (Mondadori), Ugo Riccarelli, finalista sia al Campiello sia al Grinzane Cavour. Quel Campiello che subito ne aveva riconosciuto il valore nel 1998, quando, dopo un primo libro nel quale con piglio narrativo raccontava le drammatiche disavventure del suo cuore (Le scarpe appese al cuore. Storia di un trapianto, Feltrinelli 1995), aveva stupito per la poesia e la tenerezza con le quali nel romanzo d’esordio, Un uomo che forse si chiamava Schulz (Piemme 1998), si sommergeva nella vita del grande scrittore polacco Bruno Schulz rivivendola dall’interno, ricreandola lontano dalla pedissequa biografia, offrendo la vita di un sognatore che faceva nascere i propri racconti come poscritti fantastici di lettere inviate a un amico la cui morte in sanatorio li aveva portati nella distruzione disinfestante, evitando i rischi propri della letteratura che produce letteratura. Così, aveva creato, grazie a una concreta forza inventiva, un personaggio che, quanto più richiamava il Bruno della realtà e dei suoi libri, tanto più sapeva essere autonomo e vivere di vita propria.

E c’era già il suo narrare asciutto, sveltamente mosso, quel tono suo proprio intriso d’affettuosa, addolorata, partecipe malinconia che tornerà nei suoi altri scritti, a partire da Stramonio (Piemme 2000), anch’esso narrato in flashback, con un protagonista dipendente dell’Aria (antifrastica sigla dell’azienda cittadina di raccolta rifiuti) intento a raccontare la propria storia a due piccioni di nome Dìte e Hanta, in un monologo narrativo dall’affabulazione orale di andamento lieve, sospeso. Un romanzo di formazione attraverso la sporcizia; ove la sporcizia è metafora, prospettiva e lente d’ingrandimento della vera sporcizia morale, politica e sociale che si cela nell’uomo, così come lo Stramonio è la pianta dell’abbandono, che cresce presso ruderi e rifiuti, e che può essere buon medicinale, ma pure tremendo veleno.
È soprattutto la strada del romanzo a essere frequentata da Riccarelli: culminata nel 2004 nei premi Strega e Campiello Europeo per Il dolore perfetto (Mondadori), ambientato in una Toscana di tradizioni anarchiche che vede contrapposti due gruppi familiari caratterizzati dalla scelta di nomi che si ripetono nel tempo: Achille, Ulisse, Elena, Nestore per la famiglia più benestante; Libertà, Ideale, Cafiero per la più povera e idealista. Un romanzo che dai moti di Pisacane si porta all’ultimo dopoguerra, in un andamento in cui il tono spesso magico delle opere precedenti si traduce in una sorta di «realismo magico», al pari d’un continuo incrociarsi di tragico e grottesco.
Soprattutto, storie di famiglia. Con risvolti autobiografici, come in Un mare di nulla (Mondadori 2006), incentrato su una figura paterna magico-favolosa di stregone, «maestro di illusioni e imbrogli» con parole ed essenze, che dà vita a una narrazione procedente per folate di racconti di eventi e situazioni che s’incardinano nella affabulazione paterna rivolta al figlio, intorno ai quali Riccarelli costruisce il romanzo ampliando la prospettiva paterna col recupero sia della sua famiglia e di zii emigrati in un paesino alpino, sia di eventi esterni come la guerra.
Una guerra che torna in L’amore graffia il mondo, romanzo di forte impianto tradizionale nel porre al centro una figura di donna forte e generosa, Signorina, che delle proprie fragilità sa fare forza; accompagnata dalla nascita poco dopo la marcia su Roma alla morte negli anni Settanta-Ottanta; e dove però, pur in una struttura da saga familiare, soprattutto nelle prime parti, a differenza di Il dolore perfetto in cui la presenza della storia con i suoi lutti era più spiccata, il quadro storico è più sfumato. E ove una vicenda di durezza e dolore è affidata a una prosa evocativa di delicato e malinconico lirismo, in cui si compongono le linee narrative di Riccarelli: la storia di famiglia centrata su un personaggio forte caratterizzato da un forte dolore interiore ma pur con tocchi di realismo magico; la rappresentazione al vivo della provincia italiana; il legame con le storie di trapianto narrate in Ricucire la vita (Piemme) e Le scarpe appese al cuore (Feltrinelli 1995).
Autore di romanzi, Riccarelli. Che però, quando decide di dedicarsi alla narrativa breve, dona autentici gioielli. Come in L’angelo di Coppi (Mondadori 2001), dieci racconti ambientati in varie discipline sportive quattro dei quali restano indelebili nella memoria. Come il valzer verso la morte danzato in controcanto da Dino Ferrari e Guy Moll, il pilota forse più amato da Enzo Ferrari; o la creatività e imprevedibilità della libertà cantate dalle gambe sgraziate dalla poliomelite di Passerotto Garrincha; o il Pasolini calciatore innamorato che al gol su rigore sacrifica l’amore per il portiere pischello dagli occhi di cielo; o, su tutti, la squadra di prigionieri formata dai calciatori di Dinamo e Lokomotiv di Kiev che gioca ogni partita per una vittoria che sa essere una tappa verso la morte.
Racconti che si danno come una piccola Spoon River dello sport che mette in gioco la vita. Fisica, ma soprattutto interiore. Fatta di interrogazioni, dubbi, scelte spesso estreme. Che costituiscono alfine la cifra pregnante di tutte le narrazioni di Riccarelli, abbiano a che fare con romanzi di formazione, storie di tono autobiografico, o un narrare attraverso biografie altrui.


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