Il centrosinistra esca dall’impasse è ora di uccidere il Porcellum
Ma se si può comprendere l’imbarazzato silenzio di questa parte politica, non si capisce proprio la timidezza e l’afasia del centrosinistra, e del Pd in particolare. È vero che il Partito democratico fatica a decidere qualunque cosa ma almeno potrebbe ritrovarsi unito nello sconfessare il gioco di rinvii e rimandi con cui si seppelliscono le ipotesi riformatrici della legge elettorale. L’invenzione dilatoria degli ultimi giorni è quella di costituzionalizzare il sistema elettorale. Una insensatezza tipica del genio politico italico.
In nessun grande paese democratico la carta costituzionale specifica quale debba essere il sistema di voto per il Parlamento. Questo per una ragione molto semplice: le leggi elettorali necessitano di “manutenzione”, di aggiustamenti e di revisioni periodiche. Non ha senso dover attivare complesse procedure di revisione costituzionale per decidere se, ad esempio, la soglia di sbarramento vada spostata dal due al quattro per cento, oppure se in un sistema misto si debba usare una sola scheda al posto di due. La noncostituzionalità delle norme elettorali nelle democrazie mature riflette anche un consensus sulle regole e un certo grado di fair play quando vi si mette mano. Se si infrange questo stile, come accadde in Francia quando nel 1986 il presidente François Mitterrand volle introdurre d’un colpo il sistema proporzionale per motivi strumentali — mettere in difficoltà la droite gollista e moderata e favorire il nascente Front National di Jean-Marie Le Pen — i contraccolpi sono forti, tanto che, all’epoca, un ministro di peso come Michel Rocard si dimise e due anni dopo si ritornò al precedente sistema a doppio turno.
Forse il ministro per le Riforme, buon conoscitore della Francia, ha in mente quell’episodio e, vista la “porcata” dei suoi sodali dieci anni fa, vuole mettere la legge al riparo da colpi di mano. Al netto delle buone intenzioni, fatto sta che la soluzione proposta dal ministro, oltre ad essere sbagliata in sé, è del tutto inopportuna. Restare appesi al Porcellum ancora per tutto il lungo tempo necessario per una riforma costituzionale, ammesso e non concesso che si arrivi a un accordo e non si ripeta la pantomima della Bicamerale quando Silvio Berlusconi rovesciò il tavolo da un giorno all’altro, significa non poter più (ragionevolmente) andare al voto. Significa, in buona sostanza, congelare questo governo e la permanenza del Pdl nella stanza dei bottoni, con tutte le conseguenze che ne derivano, come ha dimostrato, tra gli altri, il caso del rimpatrio forzato della moglie e della figlia del dissidente kazako.
La vera posta in gioco nella querelle sul sistema elettorale è questa, e nulla a che fare con le dotte discussioni sul miglior sistema possibile. Ma ancora: è comprensibile che un ministro del Pdl sia sensibile alle strategie del proprio partito; lo è molto meno che il Pd vi si adatti. Evidentemente alla classe dirigente dei democrat sfugge un passaggio, e cioè che il Pdl ha molta più forza di condizionamento sul governo in assenza di una nuova legge perché nessuno, a incominciare dal Quirinale, vuole tornare a votare con il Porcellum. E dato che maggioranze alternative non sono in vista, il Popolo della libertà usa anche questa arma di pressione. Tra l’altro, una mancata riforma sarebbe addebitata tutta al Pd, in quanto partito di maggioranza. Il Partito democratico ha fin qui dimostrato scarsa capacità propositiva su praticamente ogni terreno. Almeno metta le proprie impronte digitali sulla riforma elettorale cancellando una norma così impopolare.
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