Pechino concede spiragli di libertà nella muraglia di censura Web

by Sergio Segio | 27 Luglio 2013 9:25

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Secondo quanto ha anticipato uno degli amministratori locali alla stampa, si starebbero «valutando suggerimenti» per consentire l’accesso a siti web vietati in tutto il resto del Paese (Hong Kong e Macao escluse, che godono di libertà speciali). Sarebbe dunque possibile connettersi a Facebook, Twitter, YouTube e altri. Qualcosa di simile era stato concesso a Pechino in occasione delle Olimpiadi 2008 e a Shanghai per l’Expo 2010. Per il resto, le autorità di Pechino giustificano la necessità della censura in nome dell’ordine sociale.
Il progetto pilota di Zhuhai, sempre che sia messo in atto, non viene concepito per amore della libertà d’espressione o perché il potere centrale abbia cessato di temere i social network. Tutto questo accade perché, sempre secondo le parole del vicedirettore del comitato amministrativo di Hengqin, i suggerimenti accolti provengono da «imprenditori stranieri che vorrebbero investire nella zona, vedendo a quali tipi di siti web vorrebbero accedere abitualmente». Una «lista nera dei siti più sensibili», in ogni caso, sarebbe mantenuta.
Ecco, dunque, che il caso Zhuhai mostra come anche alle stesse autorità di Pechino comincino a manifestarsi i controsensi della censura. Non è solo una aggressione alla libertà d’espressione e d’informazione e un ostacolo al dibattito pubblico (dibattito che, tuttavia, all’interno delle restrizioni cinesi riesce a svilupparsi proprio con i social media nazionali). La censura è anche un intralcio alla libertà di impresa, uno strumento protezionista. Per via contraria, l’esperimento di Zhuhai afferma questo. Con l’ovvio corollario caro ai critici della Cina: che libertà di parola (e dunque di web) e libertà di impresa sono interdipendenti.
Marco Del Corona

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