by Sergio Segio | 27 Luglio 2013 8:13
ROMA — È il primo a dare la data del congresso, «24 novembre», convinto di arginare la controffensiva dei renziani. Ma quando Dario Franceschini, intervenendo alla direzione del partito, dice che «il segretario del Pd va eletto dagli iscritti», il Nazareno si trasforma in una polveriera. È un blitz che, incredibilmente, finisce per compattare attorno alle posizioni del sindaco di Firenze le truppe più disparate. Da Rosy Bindi, applauditissima dai renziani, che spiega come «il governo non può mettere in discussione la vita del nostro partito». A Gianni Cuperlo, che scandisce dalla tribuna parole di fronte a cui Renzi in persona si spellerà le mani: «Io dico no a queste regole, a cominciare dal fatto che le candidature a segretario nazionale arrivino dopo i congressi locali. È meglio non votare oggi».
A quel punto del pomeriggio, una direzione del Pd che Guglielmo Epifani aveva considerato il primo «step» per arrivare a un accordo sulle regole in un secondo momento (il 31 luglio) finisce nel peggiore dei modi. Con Enrico Letta che si prende il tempo di sbilanciarsi su un «segretario che faccia il segretario». E che poi suona il gong: «Sono d’accordo con Cuperlo, meglio rinviare il voto».
Troppo tardi. Perché il partito è nuovamente finito nel caos. «Basta forzature, serve una nuova direzione», mette a verbale il renziano Andrea Marcucci. «Che votino solo i dipendenti del Pd e gli staff dei ministri, no?», ironizza Roberto Giachetti. E il fuoco di fila che c’è fuori dai confini delle truppe del Sindaco è persino più serrato. «Far votare gli iscritti è una proposta sbagliata. E non la condivido», scrive Matteo Orfini. «Si discuta di tutto. Ma le primarie aperte non possono essere elementi negoziabili», dice il lettiano Francesco Boccia. «Ci siamo fermati a un passo dalla follia», scuote la testa Andrea Martella.
Ed è niente rispetto all’ira di Guglielmo Epifani, certificata dai pochissimi che riescono a parlargli prima che vada alla Festa dell’Unità di Roma. Il segretario giura di aver provato una mediazione, ricorda che nel suo intervento non aveva fatto esplicito riferimento rispetto al voto riservato agli iscritti. Il «mio obiettivo», spiega ai suoi, «era portare a casa la separazione tra la carica di segretario e quella di candidato premier per preservare il governo dalle tensioni del congresso». E anche quella di certificare che «i congressi locali venissero celebrati, col voto degli iscritti, prima delle primarie». A riprova della tesi, i fedelissimi dell’ex leader della Cgil fanno un passo indietro alla riunione della segreteria del partito, che s’era tenuta prima della direzione. Lì Epifani aveva fatto riferimento a una data diversa (15 dicembre) rispetto a quella poi citata da Franceschini (24 novembre). E soprattutto aveva parlato di un segretario eletto «dagli iscritti e anche dagli aderenti», tesi confermata anche in serata alla festa del partito a Roma («Nessuno può impedire a chicchessia di candidarsi») .Tutto saltato dopo l’intervento del ministro ex ppi.
Nella testa di Epifani, c’è la paura che il banco salti. Al partito più d’uno rivive i momenti in cui la proposta di Marini al Quirinale aveva provocato un terremoto nella base. E la contestazione di NoTav e OccupyPd alla festa dell’Unità di Roma, prima dell’intervento del leader, sembra andare in questa direzione. «Io sto fuori da questo dibattito delle regole e rispetto le decisioni che verranno prese dal partito. Al Pd chiedo unità, unità e ancora unità», è la linea che Letta in serata affida ai suoi. E qualcosa succede se Franco Marini, in un angolo di Piazza San Silvestro, confida che la proposta Franceschini andrà rivista: «Io sono a favore che il segretario lo votino gli iscritti. Ma alla fine credo che sarà votato anche da chi sceglierà di aderire presentandosi ai gazebo…». Come certificherà alle 10 di sera anche Epifani: «Non voteranno solo gli iscritti ma anche quelli che scriveranno una carta di sostegno al partito».
Tommaso Labate
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