Il Movimento dice di difendere la Carta In realtà il pericolo è lo sfascio

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E acuisce il sospetto che le truppe di Beppe Grillo contribuiscano all’ingovernabilità invece di proporsi come alternativa e offrire soluzioni. La seconda seduta notturna di ieri, dopo quella di mercoledì, con una tensione all’apice e scambi di accuse e perfino di insulti, è stata accompagnata dagli anatemi grillini contro la classe politica e contro le istituzioni; e da un’offensiva della Rete giunta a legittimare l’uccisione dei dipendenti del Parlamento come contributo alla riduzione delle spese della politica.

Deliri a parte, la cosa singolare è vedere il Movimento che teorizza il collasso del sistema, ergersi adesso a estremo baluardo della Costituzione. Non è chiaro se questa strategia nasca dal tentativo di arginare l’erosione dei consensi segnalata dai sondaggi; oppure se il M5S scommetta su una crisi di governo in seguito alla sentenza della Corte di cassazione del 30 luglio su Silvio Berlusconi. Certamente confida in un aumento delle tensioni sociali di qui all’autunno; e in un aggravamento delle difficoltà per il governo di Enrico Letta, raffigurato come un premier incapace di prendere decisioni. Ma evidentemente a Grillo questo non basta.

Per legittimare una linea di estremismo verbale e parlamentare, deve trovare un pretesto più forte e radicale. E dunque sostiene che «il vero obiettivo di questo governo è la distruzione dell’impianto costituzionale». Nel suo blog arriva a denunciare un «colpo di Stato d’agosto», del quale sarebbe responsabile la commissione per le Riforme costituzionali voluta dal Quirinale. «I colpi di Stato vanno combattuti in nome della democrazia», avverte. Anche se poi il gruppo parlamentare grillino chiede un incontro al presidente del Consiglio per discuterne. Il capogruppo del Pd a Montecitorio, Roberto Speranza, cerca di sottolineare «il lavoro straordinario» che viene fatto in queste ore nelle aule parlamentari proprio per il comportamento del M5S.

Ma l’obiettivo legittimo delle opposizioni non è quello di accettare o favorire una stabilizzazione, quanto di impedire che la situazione si normalizzi; e di radicalizzare qualunque elemento di conflitto e di crisi. E bisogna aggiungere che la maggioranza anomala di Letta offre ai grillini spunti polemici quotidiani. Il modo in cui i berlusconiani ostili a Palazzo Chigi drammatizzano la scadenza del 30 luglio contribuisce a trasmettere una sensazione di precarietà e quasi di pre-crisi. E pazienza se la decisione della Suprema Corte potrebbe avere effetti meno traumatici di quanto si pensi. E le opinioni sull’evasione fiscale «di sopravvivenza» espresse ieri dal viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, del Pd, hanno creato come minimo tensione.

Contraddicono e confondono il messaggio su chi evade le tasse, espresso nelle stesse ore dal premier Enrico Letta e dal titolare dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. «La lotta all’evasione fiscale non potrà essere allentata», ha ribadito quest’ultimo. Ma senza riuscire a far recedere un Fassina convinto che esista una differenza fra «l’evasione egoista dei ricchi» e quella di milioni di persone che si difendono dalle tasse per non affondare. Si tratta di una tesi atipica e assai impopolare, nel Pd, e dunque accolta con grande freddezza: anche se all’esterno della sinistra ha cittadinanza da tempo. Il problema è il momento in cui il viceministro la tira fuori. Finisce per inserire un altro elemento di incertezza, e di fatto per indebolire la politica che Palazzo Chigi ha in mente per tentare di correggere il peso fiscale eccessivo.


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