by Sergio Segio | 25 Luglio 2013 8:21
NEI cinquanta giorni di silenzio del nostro Governo successivi all’espulsione di Alma Shalabayeva e della sua bimba Alua, le omissioni del ministro dell’Interno Angelino Alfano su quanto accaduto tra il 28 e il 31 maggio avvelenarono il pozzo delle informazioni cui si abbeverarono Palazzo Chigi
e la Farnesina.
RALLENTARONO e confusero le mosse del ministero degli Esteri, resero “cieca” Emma Bonino sul ruolo chiave svolto dalla diplomazia kazaka al Viminale e al Dipartimento della Pubblica sicurezza. Accreditarono come centrale, nell’intera vicenda, il dato della “falsità” del passaporto diplomatico della Repubblica centro-africana mostrato dalla donna al momento del fermo nella villa di Casal Palocco. Dato, a ben vedere, non poi così granitico, perché confutato, il 27 giugno, dal Tribunale del Riesame di Roma e tuttora oggetto di un’indagine della Procura.
È un altro frammento di verità del caso Ablyazov. Questa volta offerto dal ministro Bonino, ascoltata ieri dalla Commissione per i diritti umani del Senato presieduta da Luigi Manconi (quella che in solitudine parlamentare continua a cercare la verità su quanto accaduto). Proposto in parte in chiaro («Sono stata chiamata a gestire ex post le conseguenze di un caso per il quale abbiamo finora, giustamente, dibattuto sulla dinamica ex ante»), e in buona parte affidato a un promemoria di sei pagine consegnato ai senatori. Una sequenza cronologica di dettaglio che documenta la catena di eventi tra il 29 maggio e il 19 luglio di cui sono stati testimoni lo stesso ministro degli Esteri e il suo capo di gabinetto Pietro Benassi. E in cui alcune circostanze sin qui ignote brillano più di altre.
Vediamo.
IL RASSICURANTE CAPO DELLA POLIZIA
Sulla scena dei giorni che vanno dal 2 giugno all’8 luglio, Alfano muove il capo della Polizia Alessandro Pansa e il suo fidatissimo capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, il prefetto di cui non esiterà poi a disfarsi quando comprenderà che il suo sacrificio vale la propria salvezza politica. Ebbene, Pansa viene raggiunto telefonicamente da Benassi, il capo di gabinetto della Bonino, il giorno stesso in cui, durante la parata della Festa della Repubblica, il ministro dell’Interno, trasecolando, si dice ignaro con il ministro degli esteri della vicenda Shalabayeva. Con Benassi, il capo della Polizia è rassicurante: «L’espulsione della cittadina kazaka è legittima — dice — Entro domani consegnerò l’appunto per il ministro dell’Interno e sarà nostra cura trasmettervelo».
La “cartuscella” consegnata al ministro dell’Interno il 3 giugno e per conoscenza alla Bonino — ormai lo sappiamo — è una burocratica sequenza di fatti accaduti tra il 28 e il 31 maggio che omette informazioni cruciali. Una su tutte: la presenza dell’ambasciatore kazako e dei suoi spicciafaccende al Viminale, in Questura, al Dipartimento di Pubblica Sicurezza nelle 72 ore che decidono il destino della Shalabayeva («Ho saputo delle inaccettabili intrusioni kazake — dice la Bonino — solo con la consegna della relazione Pansa». Cioè, il 16 luglio).
LA MELINA DEL GABINETTO DI ALFANO
Ma c’è di più. Mentre tra il 3 e il 10 giugno, la Farnesina fibrilla (viene attivata la nostra ambasciata a Londra che accerterà lo status di rifugiati politici di Ablyazov e della Shalabayeva) e avverte con crescente preoccupazione la pressione dell’Unione Europea e del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Unite (che hanno affidato a 3 relatori speciali l’incarico di ottenere immediati chiarimenti dal Governo italiano), Alfano sceglie di proteggersi facendo ammuina. Il 6 giugno, infatti, il suo capo di Gabinetto, Giuseppe Procaccini invia ben due note alla Farnesina. Che — a stare a quanto scrive nel suo promemoria il ministro degli Esteri — altro non sono che fuffa. «Si tratta — si legge — di due note di contenuto meramente formale, visto che costituiscono una mera riproduzione del primo rapporto giunto il 3 giugno. Viene dunque ribadito al ministero dell’Interno che gli elementi forniti non siano meramente fattuali, ma più politici e rispondano agli interrogativi di sostanza. In particolare, la verifica dello status di rifugiato e la compatibilità dell’espulsione con le norme nazionali e internazionali ».
IL “FUORI SACCO” A NAPOLITANO
È talmente evasivo il ministro dell’Interno
sui punti “politicamente qualificanti” del caso ed è talmente evidente di quale grana sia fatto il copione che recita (degradare la vicenda a macroscopico infortunio “cognitivo” dei suoi apparati), che, il 13 giugno, il Ministero degli Esteri decide di informare autonomamente della vicenda Shalabayeva il consigliere diplomatico di Giorgio Napolitano, nel “fuori sacco” che deve preparare il Capo dello Stato in vista dell’incontro che avrà con Barroso.
IL PASSAPORTO DIPLOMATICO
Gli sforzi della Farnesina su Alfano non hanno miglior fortuna fino a luglio inoltrato. Ancora il 3 luglio, infatti, dopo che la Bonino ha incontrato personalmente il Capo della Polizia Pansa (20 giugno) per sollecitargli quelle informazioni cruciali che ancora non ha avuto e che non avrà, la linea “Maginot” dietro cui si trincera il Viminale è che il caso Shalabayeva sia banale questione di un passaporto diplomatico della Repubblica centrafricana accertato come falso all’esito della caccia infruttuosa di un “pericoloso latitante” come Mukhtar Ablyazov (circostanza questa su cui l’Interpol è tornata: «Londra non ci ha mai risposto sul suo status di rifugiato», ha scritto ieri il segretario generale Ronald K. Noble», Ma l’e-mail degli inglesi dello scorso 5 giugno pubblicata su Repubblica lo smentisce).
Del resto, nell’ostinazione con cui il ministro dell’Interno e il capo della Polizia ripropongono la questione del passaporto c’è il cuore di una ricostruzione che, privata di quella circostanza, rischia di venire giù come un castello di carte. Travolgendo gli apparati di Polizia e persino le decisioni della Procura della Repubblica.
L’ISTANZA RESPINTA. L’INDAGINE INTERNA
Tanto per dirne una, la asserita falsità del passaporto diplomatico esibito dalla Shalabayeva è infatti la ragione per cui, il pomeriggio del 31 maggio, il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Eugenio Albamonte respingono l’istanza urgente con cui lo studio Olivo-Vassali chiede che la donna kazaka che assistono venga immediatamente interrogata per rendere “importanti dichiarazioni” sulle ragioni per cui possiede quel passaporto. La Procura, infatti, dopo aver sospeso per due ore il nulla-osta all’espulsione verrà convinta a dare il proprio semaforo verde proprio da un “supplemento” di documenti inviati dalla Questura di Roma. Per l’appunto, gli accertamenti del Centro falsi documentali della Polizia sul passaporto.
La Bonino, ieri, ha volutamente insistito sul fatto che l’indagine sul passaporto «sia ancora in corso». Ed è un fatto che sulle procedure giudiziarie di espulsione che sono ruotate intorno a questa circostanza, il Presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, a chiusura di un’indagine interna che ha riscontrato “significative anomalie” (il Tribunale ha compiti di sorveglianza sui giudici di pace), abbia inviato gli atti alla Procura perché ne valuti eventuali profili penali.
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