«Anche la Tunisia riprende la lotta Era la battaglia di mio marito»

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Perché crede in un’ampia adesione?

«La popolazione tunisina sta vivendo una pessima esperienza con il potere islamico al governo: Ennahda non è un partito che mantiene le sue promesse, e sono tutti delusi. Il processo rivoluzionario non è finito».

C’è stata la primavera araba e adesso è arrivata l’estate. Basma Khalfaoui, 42 anni, ha vissuto la prima stagione di rivolta in seconda fila. Una lunga esperienza nei movimenti studenteschi e femministi, ma anche un carattere schivo: nei mesi concitati della caduta del dittatore Ben Ali e poi della vittoria alle elezioni del partito islamico moderato Ennahda, ha preferito lasciar spazio al marito, il leader dell’opposizione progressista Chokri Belaid. Finché lo scorso 6 febbraio Belaid è stato assassinato, e Basma ha «ereditato» la sua lotta: «Non ne avevo scelta, la situazione del Paese è troppo critica». Senza neanche darsi il tempo del lutto: «Per il dolore ho tutta una vita». Di passaggio in Italia, ospite della festa nazionale di Sel a Sesto San Giovanni, spiega in che modo il suo Fronte popolare stia cercando un’alleanza con tutte le forze laiche per aprire una nuova stagione di cambiamenti. A partire da oggi, 25 luglio.

«È la festa della Repubblica. In Tunisia non abbiamo l’abitudine di festeggiarla tutti, ma quest’anno lo faremo. Il Fronte popolare ha fatto appello a un’intersezione di azioni politiche con gli altri partiti laici e democratici, e anche con la coalizione delle associazioni, per contrastare un progetto di società retrogrado».

Perché sostiene che i tunisini siano delusi dalla coalizione al governo guidata dal partito islamico?

«Ennahda non è riuscito a dare al Paese stabilità economica e sociale. Non parliamo neanche di crescita, ma di stabilità. L’economia continua a essere in declino, la società, e pure la cultura sono in declino. C’è un grande problema tra il governo attuale e gli artisti, i giornalisti, i professori, persino i giudici: su tutte le istituzioni che pensavamo sarebbero diventate indipendenti dopo la rivoluzione il potere cerca di mettere le mani o già le ha messe».

È possibile fare un confronto con l’Egitto? Vede analogie?

«Molte delle nostre pratiche sono simili. C’è stato l’avvio di una rivoluzione. Solo l’avvio: siamo in pieno processo rivoluzionario, io insisto su questo. E c’è stata la controrivoluzione che ha preso il potere, da noi e in Egitto. Di qui, la delusione rispetto allo slancio iniziale. Che però non si arresta. La popolazione rifiuta la manipolazione della religione da parte della politica».

Lei annuncia una fase di proteste in tre tappe: quali sono le altre due?

«La seconda data è il 6 agosto: l’anniversario di sei mesi dall’assassinio di Chokri Belaid, senza che si sappia la verità. Quattro mesi fa il ministero dell’Interno ha annunciato di aver arrestato un gruppo di salafiti implicati nell’assassinio, comunicando al tempo stesso che il principale indiziato non è stato catturato. Lo cercano da allora, dicono a volte che sia in Tunisia, a volte in Algeria: noi pensiamo che quattro mesi per riuscire a trovarlo siano troppi. Ci viene il dubbio che non vogliano arrestarlo, e soprattutto non vogliano individuare i mandanti dell’assassinio. Lo slogan che viene dalla strada ormai è “Gannouchi (il leader di Ennahda,ndr) ha ucciso Belaid”. È nell’interesse del potere far venir fuori la verità, se non ha niente a che fare con l’omicidio. La richiesta del secondo evento sarà allora: “Chi ha ucciso Chokri Balaid e perché?”».

Il terzo appuntamento nel centro di Tunisi è fissato il 13 agosto.

«È la festa nazionale della donna: un’altra occasione per manifestare tutti assieme, politici e associazioni, democratici progressisti, laici. E per affermare la nostra intenzione di proteggere i diritti delle donne».

In che modo ritiene che questi diritti siano messi in discussione?

«Innanzi tutto attraverso il progetto di Costituzione: non solo non abbiamo fatto passi avanti, ma stiamo andando indietro. La bozza della Carta include articoli che incitano all’instaurazione della sharia, la legge islamica: noi rifiutiamo di applicarla così com’è. In più la Costituzione non fa riferimento alle leggi internazionali, non le considera fonti di diritto, perché portatrici di valori esterni e “pericolosi”. Questo sul lato normativo. Sul lato pratico ci sono le Leghe di protezione della rivoluzione, che non hanno nulla a che vedere con la rivoluzione: sono delle milizie di Ennahda che continuano a girare per i quartieri, soprattutto i più poveri e vulnerabili, e a chiedere alle donne di coprire il capo con il velo, ai giovani di pregare… Sono soprattutto le donne, anello debole della società, ad essere prese di mira. Per noi è una grave regressione».

Alessandra Coppola


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