Il nodo dell’Expo frena le città metropolitane
ROMA — C’è ancora un nodo da sciogliere sul disegno di legge che svuota le Province, in arrivo sul tavolo del Consiglio dei ministri di domani. Ed è un nodo stretto attorno all’Expo di Milano del 2015, a dimostrazione di quanto l’appuntamento sia considerato importante anche dai partiti. Ieri l’ultima bozza del provvedimento, 23 articoli, è stata al centro di una lunga discussione nel pre consiglio, la riunione tecnica che prepara le sedute di Palazzo Chigi. Il problema sono le città metropolitane, le dieci grandi aree urbane che — da Milano a Roma, passando per Bologna e Firenze — fondono di fatto gli attuali Comuni con le attuali Province.
Dice il disegno di legge che le città metropolitane diventeranno operative dal primo gennaio del 2014. Questo vuol dire che tra cinque mesi il sindaco del capoluogo si trasforma in sindaco metropolitano, prendendo di fatto anche i poteri del corrispondente presidente della Provincia. A Milano il sindaco Giuliano Pisapia, del centrosinistra, prenderebbe di fatto il posto di Guido Podestà, che invece è del Pdl. Considerando che la Regione Lombardia è guidata dalla Lega con Roberto Maroni, il Pdl rischierebbe di essere tagliato fuori o comunque di avere meno spazio in tutte quelle attività che le amministrazioni locali stanno mettendo in campo in vista dell’Expo. E la cosa non piace al Pdl che chiede di cambiare questo passaggio. Una soluzione, però, non è stata ancora trovata.
Per il resto il disegno di legge conferma nella sostanza le anticipazioni delle ultime settimane con un percorso che si annuncia lungo e graduale. In attesa che il Parlamento approvi il disegno di legge costituzionale che cancella la parola Province dalla Carta fondamentale, le cosiddette amministrazioni di mezzo restano ma vengono svuotate di poteri e soprattutto dei loro organi politici. Le Province diventeranno delle assemblee dei sindaci del territorio e, come stabilito all’articolo 12 della bozza, saranno proprio i sindaci a eleggere fra loro il nuovo presidente e i consiglieri: 10 per le Province fino a 300 mila abitanti, 12 per quelle fino a 700 mila abitanti, 16 per quelle più grandi. Tutti gli incarichi saranno gratuiti.
Un’elezione di secondo livello, cioè senza chiamare alle urne i cittadini, come quella voluta dal governo Monti e poi bocciata dalla Corte costituzionale, perché varata per decreto legge e senza aver prima modificato proprio la Costituzione. Non vengono più definiti collegi delle autonomie come nella prima bozza circolata una ventina di giorni fa ma l’impostazione è esattamente la stessa che, riportata da alcuni giornali e poi ripresa da alcuni siti Internet non sempre in modo corretto, aveva spinto il presidente Enrico Letta a parlare di notizie false. Le funzioni vengono ridotte a tre, fissate all’articolo 13: ambiente, trasporto locale e programmazione della rete scolastica. Confermate anche le norme che spingono i piccoli Comuni a fondersi fra loro o almeno a creare delle unioni, sempre con organi a costo zero, in modo da risparmiare sulle spese per i servizi. Nel testo, invece, non si parla della cancellazione o dell’accorpamento delle società delle amministrazioni locali. «Ci sono quasi 5 mila enti intermedi di Regioni, Comuni e Province — dice il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio — che devono essere razionalizzati. Questo lavoro era già previsto, lo riprenderemo». Se ne riparlerà a fine agosto, mettendo allo stesso tavolo tutti gli enti locali interessati.
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