La Consulta salva i governatori con i conti della sanità in rosso

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ROMA — «Stretta per i governatori con le mani bucate», titolava l’Ansa il 26 luglio del 2011. Per il quarto governo di Silvio Berlusconi erano gli ultimi mesi di vita. Mentre la lettera della Banca centrale europea che chiedeva all’Italia un altro pesante giro di vite stava per partire da Francoforte, la commissione bicamerale sul federalismo preparava una sorprendente quanto inedita ghigliottina politica per chi avesse male amministrato le Regioni. Un decreto legislativo, frutto di un accordo fra i relatori Enrico La Loggia (Pdl) e Antonio Misiani (Pd) che prevedeva lo scioglimento immediato del consiglio regionale e la rimozione contestuale del governatore in caso di grave dissesto finanziario della sanità. Un dissesto nel quale, naturalmente, la Corte dei conti avesse accertato la responsabilità gestionale del presidente della giunta regionale. E la rimozione non avrebbe rappresentato che una parte della sanzione politica a carico del governatore. Forse addirittura la meno pesante. Perché il politico rimosso non avrebbe potuto candidarsi per dieci anni alla Regione, alla Provincia e al Comune, né tantomeno al Parlamento nazionale o europeo. Ma neppure aspirare, per un periodo così lungo, a un qualunque posticino di sottogoverno.
Tutto questo valeva fino al 16 luglio scorso, quando la Consulta l’ha dichiarato costituzionalmente illegittimo. La sentenza, chilometrica, è stata pubblicata tre giorni dopo. L’ha originata un ricorso presentato da tutte le Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige), dalle Province autonome di Trento e Bolzano nonché dalle Regioni Calabria, Lazio, Umbria, Emilia Romagna e Campania. Obiettivo, demolire tanto quel decreto legislativo come pure la legge voluta dal governo di Mario Monti, uno degli ultimi provvedimenti approvati nella scorsa legislatura, anche per arginare scandali come quello dei fondi del consiglio regionale del Lazio.
Il successo dell’offensiva, condotta al pari di quella che alla Consulta pochi giorni prima aveva salvato le Province anche da alcuni avvocati chiamati a far parte del comitato di saggi incaricato dal Parlamento di studiare le riforme costituzionali, non è stato certo schiacciante. Ma i segni sono stati comunque profondi, compresa una limatura ai poteri della Corte dei conti, che erano stati rafforzati sul finire del 2012 dal provvedimento del governo Monti. Oltre alla sanzione politica prevista per il governatore la Corte costituzionale ha fatto ad esempio saltare l’interdizione decennale da qualsiasi incarico in enti vigilati o partecipati da enti pubblici a carico dei direttori generali, dei direttori amministrativi e sanitari del servizio sanitario regionale, del dirigente dell’assessorato competente nonché dei revisori dei conti coinvolti nel dissesto finanziario della sanità. Per i revisori era prevista anche la comunicazione, da parte della Corte dei conti, all’ordine professionale di appartenenza.
Allo stesso modo è saltata la «relazione di fine legislatura regionale». Ovvero, una specie di due diligence della situazione finanziaria della Regione, che il presidente uscente era tenuto a sottoporre all’esame di un «tavolo tecnico interistituzionale», organismo composto pariteticamente da esponenti ministeriali e regionali. La relazione avrebbe dovuto chiarire le eventuali carenze nella gestione, denunciando le spese incompatibili con i vincoli di bilancio e rendendo pubblici i rilievi della Corte dei conti. Gli stessi magistrati contabili avrebbero poi dovuto esprimere una valutazione sulla due diligence, che sarebbe stata resa nota con la pubblicazione sul sito della Regione.
Bollata di incostituzionalità come la norma che consentiva alla Ragioneria di attivare «verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile» anche nei confronti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nel caso di evidenti «situazioni di squilibrio finanziario», quali il «ripetuto utilizzo dell’anticipazione di tesoreria». Oppure anomalie «nella gestione dei servizi». O anche «l’aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli organi istituzionali»: una previsione introdotta dal provvedimento anti Batman.
Dulcis in fundo, la Consulta ha cancellato le sanzioni a carico delle Regioni autonome e delle Province di Trento e Bolzano per il mancato rispetto del patto di Stabilità interno. Cose come il divieto di assumere o di indebitarsi per investire, ma anche l’obbligo di tagliare almeno del 30 per cento le indennità del governatore e degli assessori.


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