Decreto del Fare, sì alla fiducia Ma in Aula si crea l’ingorgo

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ROMA — Il governo supera lo scoglio del voto di fiducia sul cosidetto decreto del Fare, il maxiprovvedimento di 114 articoli che contiene una serie di misure per il rilancio dell’economia più una lunga serie di varie ed eventuali. E lo supera anche bene, con 427 sì, una quarantina in più rispetto ad un mese fa quando la fiducia era stata messa su un altro decreto, quello per le emergenze. Alla prova del pallottoliere, dunque, la maggioranza tiene nonostante i tanti motivi di tensione delle ultime settimane. Ma il via libera di ieri non risolve i problemi sul tavolo del governo, visto che l’ostruzionismo messo in campo dall’opposizione, e in particolare dal Movimento 5 Stelle, ritarda non solo il voto finale sul decreto ma, a cascata, anche gli altri provvedimenti in coda per l’esame in Parlamento.

Dopo la fiducia arrivata all’ora di pranzo la Camera è passata all’esame dei 251 ordini del giorno depositati in gran parte proprio dal Movimento 5 Stelle (ma anche da Lega e Sel). Ieri mattina il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini stimava una velocità di crociera da 100 ordini del giorno addirittura ogni 30 ore. In realtà il ritmo non è stato così soporifero ma la discussione è andata avanti per tutta la giornata e al momento non si sa quando finirà. Ieri la maggioranza ha votato il sì alla seduta fiume fino al via libera definitivo, ma sa bene che potrebbe essere un’arma a doppio taglio, con il rischio di assenze fra i propri banchi e la possibilità di andare sotto su qualche voto. Sarebbe uno smacco. E poco cambia se gli ordini del giorno non sono delle modifiche del testo ma dei semplici impegni che il governo prende davanti al Parlamento, di solito vaghi, molto spesso lasciati cadere. Quello che conta, per la maggioranza, è evitare l’incidente.

In più si è complicato il caso del tetto agli stipendi dei manager pubblici. Un principio introdotto per la prima volta dal governo Monti con la legge Salva Italia, che fissava a 300 mila euro lordi l’anno il compenso massimo per i vertici di alcune aziende pubbliche. E che il decreto del Fare avrebbe dovuto estendere ad un gruppo più ampio di società. Alla fine, però, non è cambiato molto. E quello che già due giorni fa sembrava un giallo si è arricchito di un nuovo capitolo.

Proprio parlando dell’emendamento che ha modificato il testo su questo punto, il deputato di Scelta civica Andrea Vecchio attacca i funzionari della Camera, dice che «manipolano le leggi» . Un’accusa definita «falsa e diffamatoria» dai due relatori del provvedimento, Francesco Boccia per il Pd e Francesco Paolo Sisto per il Pdl, ai quali si associa anche la presidente della Camera, Laura Boldrini. Ma, pur mettendo da parte la polemica sui funzionari di Montecitorio, il merito di quell’emendamento continua a far discutere. Anche il ministero dell’Economia avrebbe sollevato più di un dubbio e la norma, pur difesa martedì sera dal ministero dello Sviluppo economico, dovrebbe essere riscritta nel passaggio al Senato.

I due relatori hanno presentato anche un ordine del giorno sulla Tobin Tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie. Il testo prova ad andare incontro alle richieste del Movimento 5 Stelle che voleva estendere l’applicazione della tassa anche alle speculazioni più spinte e cioè al cosiddetto day trading, l’acquisto e la vendita dei prodotti finanziari da chiudere nello stesso giorno. L’ordine del giorno dei due relatori è più prudente ma apre alla possibilità di estendere la tassa «a tutte le operazioni» se il gettito dovesse essere inferiore alle attese. Ma al di là del merito sulle singole modifiche e sui singoli ordini del giorno lo scontro è ormai tutto politico. E si allarga anche ad altri argomenti a partire dai costi della politica.

Slitta il dibattito in Aula sul disegno di legge che abolisce il finanziamento diretto ai partiti. Dopo un duro confronto fra maggioranza e opposizione la commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha deciso che il testo non sarà più in Aula domani, come inizialmente previsto, ma il primo agosto. Rinvio anche per il disegno di legge sul voto di scambio. Dopo le polemiche per i possibili effetti sui processi in corso, la commissione Giustizia del Senato ha riaperto il termine per la presentazione degli emendamenti. E il Pd si dice pronto a correggere il tiro chiedendo di considerare reato la promessa non solo di soldi ma anche di «altre utilità», e lasciando la pena a 12 anni, così come nella legge del 1992. Scontro tra governo e maggioranza sul disegno di legge che riguarda la diffamazione. Alla Camera, in commissione Giustizia, il sottosegretario Cosimo Ferri boccia gli emendamenti presentati dai relatori, Walter Verini (Pd) e Enrico Costa (Pdl), che estendono la diffamazione anche ai siti internet.

Lorenzo Salvia


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