I superstiti in Parlamento È la Generazione Utoya

Loading

La buona politica come resistenza, la costruzione di valori come argine all’orrore, la fiducia nel futuro come antidoto al vuoto di senso. C’è tutto questo nella candidatura al Parlamento di 35 giovani sopravvissuti alla strage di Utoya, il peggior massacro sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale. Si vota il prossimo autunno, solo cinque hanno buone possibilità di farcela in base alla posizione sulle liste elettorali, ma la decisione di correre per un seggio è già un potente atto politico, due anni dopo la mattanza.

I ragazzi erano lì, il 22 luglio 2011, sulla verde isola 40 chilometri a nord-ovest di Oslo dove ogni anno si tiene il campo estivo dei Giovani laburisti. Ricordano l’assassino Anders Behring Breivik travestito da agente di polizia e armato di fucile automatico, le urla, il sibilo dei proiettili, quei novanta interminabili minuti. Morirono in 69, quasi tutti adolescenti, il più giovane aveva 14 anni. Poche ore prima l’attentatore aveva sistemato un’autobomba nel centro politico della capitale, davanti agli uffici del primo ministro Jens Stoltenberg, uccidendo otto persone e ferendone oltre duecento.

Un duplice attacco pianificato per anni. Un’azione «necessaria», avrebbe detto Breivik nel corso del processo, per salvare il Paese da multiculturalismo e islamizzazione strisciante, dalle politiche autolesioniste del partito laburista al governo in coalizione con i verdi. Negli abissi della sua mente, colpire l’ala giovane dei laburisti significava estirpare il male alla radice e «conquistare» il domani. Il domani è arrivato.

Breivik ha compiuto 34 anni nel carcere di massima sicurezza di Ila dove sconterà una condanna a 21 anni, il massimo previsto dal sistema norvegese, pena estendibile in caso di persistente pericolosità sociale. E’ probabile che non torni mai più in libertà. I sopravvissuti all’attentato progettano il futuro della Norvegia. «Qualcuno ha tentato di uccidermi per ciò in cui credo. Continuerò a combattere per le mie idee. Oggi diamo per scontata la possibilità di fare liberamente politica ma non dovrebbe essere così» dice Vegard Groeslie Wennesland, 29 anni. Quel 22 luglio si salvò nascondendosi sotto un letto, mentre Breivik inseguiva i suoi compagni, mirando alla testa di chi cercava la salvezza nel fitto del bosco o nelle acque gelide del lago.

Li hanno ribattezzati «la generazione del 22 luglio», nucleo combattente della Lega giovanile laburista (Auf) testato nel fuoco di Utoya e pronto ad affrontare qualsiasi sfida. Una posizione scivolosa. Dopo otto anni di centro-sinistra gli elettori sono tentati dal cambiamento e i laburisti sono dati in svantaggio rispetto ai conservatori. Il partito è spaccato e una delle linee di divisione più nette separa proprio l’Auf dagli anziani su temi cruciali come immigrazione, utilizzo delle risorse petrolifere e tutela dell’ambiente. Negli ultimi mesi non sono mancate polemiche sul presunto tentativo di strumentalizzare le stragi per infondere nuova linfa al progetto laburista, attrarre il voto dei più giovani e proiettare la Lega, di orientamento tradizionalmente più radicale, nell’alta politica. Accuse dolorose, che minano il difficile processo di elaborazione di un evento che ha costretto il Paese a mettere in discussione le proprie certezze e a rifondare un’identità ferita.

La Norvegia resterà fedele a se stessa, promise all’indomani degli attacchi il primo ministro Stoltenberg. Lo ha ripetuto lunedì, nelle celebrazioni per il secondo anniversario: «Nessun estremista deve impedirci di muoverci liberamente, pensare liberamente o parlare liberamente. I nostri valori sono la nostra arma più forte, la protezione più potente contro la violenza e il terrore».

Maria Serena Natale


Related Articles

Trentadue ore d’assedio Poi oltre trecento colpi mettono fine all’incubo

Loading

Il killer era già  nella «no fly list» americana Polemiche sul perché non sia stato fermato

I nuovi amici degli Usa

Loading

Era piena piazza Tahrir ieri. Di simpatizzanti e attivisti dei Fratelli musulmani che festeggiavano la vittoria, ancora da confermare ufficialmente, di Mohammed Morsy. Il «nuovo» presidente già  ieri mattina era apparso in tv per comunicare il risultato dello spoglio e per assicurare che sarà  il capo dello stato di tutti gli egiziani, religiosi e laici.

Medici senza frontiere: «Spostano le frontiere a sud e ci colpiscono in quanto testimoni scomodi»

Loading

Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere Italia: “Siamo dei testimoni scomodi e non dobbiamo documentare cosa avviene nell’area delle operazioni. Msf salva vite in molte parti del mondo, abbiamo problemi solo in Europa”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment