La lettera del generale Usa «Niente interventi in Siria»

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WASHINGTON — Lo si è capito da tempo. Obama non ha alcuna voglia di avventure in Siria e non perde occasione per far trapelare i dubbi. Attraverso testimonial di peso. L’ultimo a parlare il capo di stato maggiore Martin Dempsey. Con un messaggio chiaro: un’eventuale opzione militare statunitense costerebbe moltissimo e potrebbe comportare l’impiego massiccio di forze.

Il generale ha messo nero su bianco in una lettera al Congresso i possibili scenari di intervento nel Paese mediorientale. Vediamoli in dettaglio. 1) Addestramento e assistenza alle unità ribelli: richiede un budget di circa 500 milioni di dollari, una presenza di militari Usa variabile tra le poche centinaia e qualche migliaio. 2) Blitz limitati: centinaia di caccia e mezzi per distruggere i target siriani con un esborso di diversi miliardi di dollari. 3) No fly zone: centinaia di velivoli per neutralizzare basi, hangar ed eventuali aerei siriani che sfidino il divieto di volo; spesa di circa 1 miliardo di dollari. 4) Zona cuscinetto al confine turco o giordano: necessario lo schieramento di migliaia di uomini e, probabilmente, di un task force aerea. 5) Distruzione delle armi chimiche: attacchi con bombardieri e missili, con possibile creazione di una no fly zone.

Nella lettera-rapporto, Dempsey riconosce che questo tipo di azioni aiuterebbero in modo sensibile l’opposizione riducendo le capacità del regime ma al tempo stesso finirebbero per risucchiare l’America nel conflitto. L’avvertimento del generale non potrebbe essere più evidente: «Un maggiore coinvolgimento sarebbe difficile da evitare». Monito accompagnato dal «mantra» di questi mesi: potremmo, involontariamente, favorire gli estremisti.

A giudizio di molti analisti la Casa Bianca sembra accettare una Siria divisa in cantoni, con Assad al potere solo su alcune zone. È stato lo stesso portavoce Jay Carney a sottolinearlo. Osservazioni che si sommano ad alcuni rapporti secondo in quali Obama pensa di «lasciar bruciare la Siria», con l’asse Iran-Hezbollah costretto a spendere risorse per puntellare il regime di Damasco, gli sciiti impegnati nella guerra religiosa con i sunniti. E, in effetti, gli schieramenti sembrano posizionarsi per un conflitto di lunga durata, visto anche che nessuno dei due appare in grado di sconfiggere totalmente l’altro.

Le informazioni di Dempsey al Senato sono anche un modo per rispondere a quella parte del Congresso che ha chiesto da mesi uno sforzo maggiore in Siria. Linea interpretata con convinzione da John McCain, tra i più grandi sostenitori della ribellione. Sul tema le posizioni dei parlamentari sono piuttosto sfumate. C’è chi mette sotto accusa le indecisioni e la prudenza della Casa Bianca o chi paventa un altro Iraq. Un fantasma che continua a volteggiare sulla presidenza e che trova sostanza in quanto sta accadendo in questi giorni con centinaia di vittime.

In alternativa alla carta militare diretta, gli Usa, sempre con mille prudenze, cercano di aiutare l’insurrezione con le famose «operazioni coperte» affidate alla Cia. Anche qui la via è stretta quanto tortuosa. Dopo settimane di discussioni il Congresso ha finalmente sbloccato un pacchetto di aiuti militari in favore della resistenza. Si parla di fucili d’assalto, munizioni, probabilmente qualche sistema contro-carro. E dal campo sostengono che i carichi dovrebbero arrivare in Siria nei primi giorni di agosto.

Un piano che rappresenta il proseguimento di altre iniziative, sempre segrete, condotte via Turchia e Giordania, i due snodi per qualsiasi manovra che riguardi il teatro siriano. Più volte, però, i ribelli hanno sostenuto che il materiale promesso dagli Usa non è mai arrivato oppure non era sufficiente a soddisfare le esigenze delle diverse «brigate». È probabile che gli aspetti della collaborazione saranno affrontati in imminenti colloqui a Wa-shington tra una delegazione degli insorti e l’amministrazione Usa.

Guido Olimpio


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