Letta chiede la «fiducia» al Pd E blinda Saccomanni: non si tocca

by Sergio Segio | 22 Luglio 2013 6:13

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ROMA — «Io ho massimo rispetto per il confronto interno al Partito democratico». Ma, è il sottotesto che metterà in risalto a cominciare dal discorso che terrà dopodomani all’assemblea dei deputati del Pd, «adesso è il momento di concentrarsi tutti insieme sulle cose da fare».

Non è un muro contro muro. Né, per adesso, l’avvisaglia di un aut aut . D’altronde, non è nello stile di un personaggio che era e rimane un politico misurato. Ma quando domani si troverà davanti i deputati del suo partito, Enrico Letta ha intenzione di lasciarsi alle spalle le tensioni degli ultimi dieci giorni. E di farlo con un appello chiaro. Un modo come un altro per dire al suo partito, stavolta chiaramente, che le tensioni pre-congressuali non possono abbattersi come un terremoto sull’azione dell’esecutivo.

Nella testa del presidente del Consiglio, ovviamente, non c’è alle porte alcun rimpasto. Né, soprattutto dopo l’intervento del presidente della Repubblica di qualche giorno fa e il suo discorso di venerdì al Senato, il premier ha intenzione di tornare sul «caso Kazakistan». Tantomeno tra i desiderata lettiani ha mai fatto capolino il pensiero di mettere in discussione un ministro come Fabrizio Saccomanni, che ieri è tornato nel mirino del centrodestra. Da dov’è «Saccomanni non si muove». Punto.

Se c’è però una cosa che sta cuore a Letta, questa è il volersi a tutti i costi presentare all’appuntamento virtuale con la sentenza della Cassazione su Mediaset con una blindatura netta del suo stesso partito. Con un «sì» pieno e rinnovato all’azione di governo che il premier punta a incassare prima al confronto coi deputati e poi al parlamentino del Pd, in agenda per venerdì prossimo.

A ragione o a torto, il presidente del Consiglio è convinto di riuscire a scollinare la cima della prossima settimana senza ostacoli da parte di Renzi. Infatti crede alla promessa del Sindaco, che l’altro giorno s’è chiamato fuori da qualsiasi discussione promettendo di «non rilasciare dichiarazioni sull’esecutivo» per un bel po’. E crede alle garanzie che dall’esercito dei renziani gli sono arrivate l’altro giorno da Paolo Gentiloni. Della serie, «nessuno è così matto da pensare di togliere in questo momento il sostegno a Enrico».

Nella testa di Letta, insomma, quel messaggio in codice lanciato a suocere e nuore del Pd dai banchi del governo di Palazzo Madama («Non scambiate la mia buona educazione per debolezza») per adesso ha fatto breccia. E, in condizioni normali, sarebbe il trampolino di lancio per superare senza troppi patemi il «rompete le righe» estivo. Ma visto che il 30 luglio e le sue incognite si avvicinano — e visto che le mani avanti messe da personalità come il candidato alla segreteria Gianni Pittella («Sia chiaro che dopo il 30 il Pd non accetterà ricatti») cominciano a fare breccia nella base — meglio anticipare la decisione della Cassazione con una specie di «rinnovo della fiducia da parte del Pd». Con un’accettazione chiara che Letta chiederà sulla base della sua richiesta in poche parole: «Concentriamoci tutti insieme sulle cose da fare».

Tra queste Letta elencherà gli obiettivi di cancellare l’Imu sulla prima casa e non aumentare l’Iva, messe nero su bianco anche dall’ormai ex recalcitrante ministro Zanonato. E l’avanzamento del ddl sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Tutto liscio? Neanche troppo. Dal Nazareno Guglielmo Epifani continua a suggerirgli di chiedere in direzione «una conta» per blindare il sostegno del Pd al governo con l’unanimità. Senza dimenticare che i bersaniani, dopo una riunione riservata tra loro che risale a qualche giorno fa, sono in pressing sul premier perché «dica parole chiare per fermare il logoramento all’azione di governo portato avanti da Renzi». Sulla seconda richiesta, la risposta lettiana è stato un niet. La prima carta, quella del voto nel parlamentino del partito, verrà usata solo come carta di riserva.

Perché il «rispetto del confronto interno al Pd», a meno che non si tramuti nell’ennesima scossa di terremoto per Palazzo Chigi, per Letta è sacro. Come sarà sacro l’appello che rivolgerà al suo partito. Certo, da qui a venerdì, il cammino del premier è ancora un campo minato. C’è il malumore anti-larghe intese di una base che si sta tornando a far sentire via Twitter. E la questione dei tempi del congresso, che tornerà a farsi infuocata quando sarà ufficializzato lo slittamento a settembre dell’assemblea nazionale del partito. «Chi vuole il rinvio del congresso è contro il bipolarismo», ha messo nero su bianco ieri il renziano Faraone. E il rischio che questo dossier si incroci venerdì con la «fiducia» del Pd al governo è ancora da considerarsi alto. Anche per una persona misurata come il premier.

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