Il governo: nessun rimpasto. Ma il Pd è diviso

Loading

ROMA — L’idea di un rimpasto di governo dopo l’estate fa litigare Pd e Pdl. Guglielmo Epifani chiede un esecutivo «più forte e autorevole» e gli alleati fanno quadrato in difesa di Angelino Alfano. Finché a sera, per fermare il tam tam dei nomi in bilico (Carrozza, Zanonato, Bray…), Enrico Letta chiede a Dario Franceschini di intervenire per stoppare con forza voci, previsioni e preoccupazioni.

«Nessun rimpasto all’orizzonte», chiude il ministro per i Rapporti con il Parlamento. E poi, perché non appaia come un muro contro muro con il segretario democratico, Franceschini spiega: «In molti, a cominciare da Epifani, hanno giustamente parlato di una esigenza di rafforzare il governo. Questo lo vogliamo soprattutto noi che ne facciamo parte…». L’obiettivo però non si raggiunge sostituendo gli uomini e le donne scelti per realizzare il cronoprogramma delle larghe intese, ma lavorando sull’agenda delle riforme. Da Palazzo Chigi assicurano che il leader del Pd «non ha mai chiesto rimpasti». E che Letta è «sereno, tranquillo e determinato ad andare avanti».

I vertici del Pd si ritrovano ancora una volta a dover reggere il gioco al premier, ma la sostanza non cambia. Al Nazareno confermano che a settembre bisognerà riprendere il cammino con più vigore, «il che potrebbe anche passare attraverso le persone…». Che la «persona» nel mirino sia ancora Alfano lo conferma il titolo dell’Unità di ieri: «Alfano resta, ma per poco».

Per spazzar via ogni tentazione Franceschini argomenta che aprire ora quel fronte accentuerebbe «quel senso di instabilità politica in grado, come ha detto il governatore Visco, di frenare la ripresa». Ma adesso l’urgenza è convincere il variegato e trasversale fronte antigovernativo che il governo non è in impasse e che il premier ha impresso una vera accelerazione. Non a caso Franceschini ricorda i sei decreti legge già in Parlamento per la conversione e le norme in preparazione su Imu, Iva, ammortizzatori sociali ed esodati. Flavio Zanonato, preoccupato per le voci che lo collocano in cima alla lista dei silurabili, si affretta a prevedere che a inizio autunno «sarà possibile annunciare che non ci sarà più l’aumento di un punto dell’Iva e che non ci sarà più l’Imu sulla prima casa». E anche Maria Chiara Carrozza scaccia i fantasmi: «Il tagliando non serve, il Pd si concentri sul partito».

Nel Pdl fanno muro. «Porterebbe in un vicolo cieco, sarebbe una partita a scacchi fine a se stessa», avverte Cicchitto. Mentre secondo Mariastella Gelmini «il solo parlarne indebolisce l’esecutivo, quando avremmo bisogno piuttosto di un patto di medio termine perché il Paese deve uscire dalla crisi». E comunque, se l’idea del Pd è quella di sostituire Alfano dopo il caso kazako», Maurizio Gasparri consiglia agli alleati di «levarselo dalla testa».

Renzi ha firmato la tregua, ma i suoi sono scatenati. Simona Bonafé spiega che il Pd sta pagando «un prezzo molto alto per sostenere il governo» e dice che sul caso Alfano il Pd non ha fatto una bella figura: «Rimangono delle ombre». Pippo Civati conferma che «nel partito c’è un sacco di arrabbiatura» e prevede che, se Berlusconi verrà condannato, «la crisi del governo avrà una accelerazione vertiginosa». E durissime, anche contro il Quirinale, sono le considerazioni di Laura Puppato, protagonista di uno show due giorni fa al Senato: «Il richiamo di Napolitano è stata una cosa di un assurdo incredibile. Se la critica al capo dello Stato è posta in modi istituzionali mi sembra doveroso concederla». Quanto a Letta, la Puppato attacca: «Non possiamo diventare la scimmietta sorda, cieca e muta del governo».

Ecco, questo è il clima nel quale il premier deve lavorare al rilancio dell’esecutivo. Cosa non facile se il Pd non sarà tutto, compattamente, dalla sua parte. Letta ha deciso di non restare a guardare, d’ora in avanti giocherà da protagonista nelle dinamiche del partito. Venerdì parlerà alla direzione nazionale e i lettiani prevedono che alzerà la voce, ribadendo che non resterà a Palazzo Chigi «ad ogni costo» e tirando fuori una carta a sorpresa per rallentare la corsa di Matteo Renzi. Chiederà ai democratici un «sostegno pieno», lasciando intendere che in caso contrario potrebbe staccare la spina lui stesso. «E a quel punto — prevede un deputato amico — se dovesse esserci lo zampino di Renzi, lui si candida e vince, per la segreteria e per la premiership».


Related Articles

I ministeri spendono un miliardo al giorno

Loading

Ogni anno previste uscite per 283 miliardi, la metà  serve solo a farli funzionare

Renzi: crescita o Europa senza futuro A Strasburgo il muro dei tedeschi

Loading

Il discorso: bisogna ritrovare l’anima. Weber, capo del Ppe, insiste sul rigore

La rivincita della piazza nell’era dei social network

Loading

Malgrado lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione il contatto diretto con i cittadini rimane sempre decisivo per le campagne elettorali, dagli Stati Uniti all’Italia. Rimane un fatto indiscutibile: il leader deve andare di persona nei luoghi dove vuole prendere voti. Una strategia adeguata non si cura solo del messaggio ma studia anche la carta geografica 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment