La verità nelle carte della polizia: non è stata un’espulsione, ma una «consegna» ai kazaki

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ROMA — Quella di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua non è stata un’espulsione, ma una vera e propria «consegna» alle autorità kazake. Sono i documenti allegati alla relazione del capo della polizia Alessandro Pansa e depositati in Parlamento, a svelare che ben prima della decisione del giudice di pace di convalidare il suo trattenimento nel centro di accoglienza di Ponte Galeria, da Astana era arrivata la richiesta di trasferimento in patria.

L’istanza è contenuta in una nota ufficiale trasmessa via interpol e giunta a Roma la mattina del 31 maggio, cioè quando la signora era ancora in Italia. Basta questo a spiegare perché sin dal giorno prima fosse a disposizione presso l’aeroporto di Ciampino, un jet privato della compagnia austriaca Avcon. Ma soprattutto a confermare che sin dall’inizio della vicenda la reale identità della signora era nota e dunque sarebbero bastati accertamenti sul suo cognome per scoprire che si trattava della moglie di un dissidente. Anche perché, ed è questa l’ulteriore novità svelata dagli atti messi a disposizione dei parlamentari, in quella nota gli stessi kazaki fornivano numeri e indicazioni su tutti i passaporti intestati alla signora.

«To deport her»
Le relazioni consegnate nelle settimane scorse all’avvocato Francesco Olivo avevano dimostrato come già il 28 maggio, al momento di chiedere l’arresto di Mukhtar Ablyazov, l’ambasciata kazaka avesse specificato ai poliziotti la possibile presenza della donna nella villetta di Casal Palocco. Nella nota trasmessa alla questura è scritto: «Preghiamo di identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa convive la moglie Alma Shalabayeva nata il 15 agosto 1966». Nonostante questo, la questura chiese alla Farnesina verifiche soltanto sul nome “Alma Ayan” che risultava sul passaporto rilasciato dalla Repubblica Centroafricana. Adesso si aggiunge un nuovo e fondamentale tassello.

Nella nota trasmessa alle 12.37 del 31 maggio si inserisce una sollecitazione formale in inglese: «In case of revealing of illegal stay of Shalabayeva Alma in Italy (under false document), we ask your respective authorities to deport her to Kazakhstan» e quindi «In caso di accertata permanenza illegale di Alma Shalabayeva in Italia, chiediamo alle vostre autorità di trasferirla in Kazakistan» . Cosa che puntualmente è avvenuta nonostante ci fossero ancora dettagli da verificare.

I due passaporti
In particolare sarebbe stato indispensabile svolgere accertamenti su quelle notizie che gli stessi kazaki dicevano di aver già trasmesso e si premuravano di ribadire. E infatti nella stessa nota Interpol si legge: «Confermiamo che Alma Shalabayeva è cittadina della Repubblica del Kazakhistan. È titolare di un passaporto nazionale numero N0816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e un altro numero N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007». Il quadro delle informazioni era dunque completo: perché si è scelto di non approfondire questi dati? Perché si è deciso di consegnare la donna e la sua bambina ai diplomatici kazaki senza attendere le ulteriori verifiche sulla sua identità? Perché, visto che si trovava ancora a Ciampino, si è scelto di non interrogare le banche dati su questi due passaporti? Forse sarebbe stato sufficiente per scoprire che non si trattava di una truffatrice con documenti contraffatti, ma semplicemente di una donna spaventata perché in pericolo di vita. Consapevole che il suo ritorno in patria poteva provocare a lei e a sua figlia rischi gravissimi.

L’«invasività dei kazaki»
I verbali degli alti funzionari del Viminale hanno svelato come l’ambasciatore Andrian Yelemessov di fatto abbia stazionato per due giorni nell’ufficio del prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro Angelino Alfano (ieri sostituito dal prefetto Luciana Lamorgese), arrivando addirittura a dare disposizioni ai capi delle varie strutture investigative. Hanno fatto emergere la sua fretta e la sua insistenza, che lo portarono prima a recarsi negli uffici della Squadra Mobile di Roma e poi a inviare presso il Servizio Centrale Operativo un consigliere diplomatico per ottenere un secondo blitz nella villa di Ablyazov. Si tratta dello stesso consigliere che mise a disposizione il jet e che a Ciampino disse ai poliziotti che avrebbe «chiamato Procaccini» per avere garanzie sulle misure di sicurezza adottate all’interno dello scalo. I vertici della polizia hanno negato di aver saputo dell’espulsione della moglie e della figlia di Ablyazov, ma la loro versione vacilla alla luce delle informazioni gestite dall’Interpol e trasmesse a tutti gli uffici che si stavano occupando della vicenda. E adesso dovrà essere la procura di Roma — titolare di un fascicolo nel quale la signora Shalabayeva è stata indagata per falso — a dover verificare la legalità di questi contatti tra autorità italiane e kazake.

Fiorenza Sarzanini


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